Ogni tanto si sente cianciare di una presunta incompatibilità tra la cultura araba e quella europea (ammesso che una siffatta dicotomia possa effettivamente resistere a un’analisi più approfondita di quella dei rotocalchi), a causa della più radicale (ma altrettanto presunta) differenza tra l’islam e il cristianesimo. A tutte le ciance basterebbe replicare che, se questa incompatibilità di principio esistesse davvero, ce ne saremmo accorti da millecinquecento anni; e, tanto per cominciare, avremmo trovato disdicevoli e inutilizzabili quei dieci “numeri arabi” di cui non possiamo fare oggi a meno nei nostri calcoli scientifici. Ma tant’è, la gente ha la memoria corta (spesso cortissima) e non ama le speculazioni astratte e le sottigliezze filosofiche. Allora è necessario spiegare le cose in maniera semplice, immediata, diretta, portando le persone per mano; no, non in senso metaforico, ma proprio strada per strada, monumento per monumento, città per città, per far vedere a ciascuno, con i propri occhi, quanta Arabia - e da quanti secoli - ci sia in Italia…
Andare per l’Italia araba, di Alessandro Vanoli (ed. Il Mulino), ci conduce nel cuore delle bellezze mediorientali del nostro Paese: dalla piazza palermitana cosiddetta dei “Quattro Canti”, che racconta la storia antichissima della conquista della Sicilia da parte degli arabi di Libia e Mauritania (siamo intorno all’830), agli edifici di Amalfi e di Ravello eretti da mori e saraceni; dall’emirato di Bari ai resti dell’avanzata ottomana lungo le coste dell’Adriatico; dal Palazzo Bolognini della Bologna turca a Venezia, la “porta d’Oriente”. Un libro splendido, scritto come una guida turistica ma dotto come un compendio di storia, appassionante e adatto a tutti. Anche a quelli dalla memoria corta, ma che non hanno perso il gusto delle cose belle. Soprattutto quando ce le hanno sotto agli occhi.
(«Il Caffè», 13 febbraio 2015)
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