Thomas Piketty, nel suo momumentale Il capitale nel XXI secolo (meritevolmente edito da Bompiani ad un prezzo molto contenuto), grazie a una raccolta di dati sterminata (condotta in venti Paesi), analizza gli sviluppi del nostro capitalismo liberistico globale, nel tentativo di prevederne gli sviluppi (e i rischi conseguenti). L’esperienza insegna che in periodi come il nostro, in cui la rendita del capitale supera quella della produzione, gli squilibri dovuti alla disuguaglianza possono ingigantirsi e il sistema si espone a un crollo. Insomma: quando è troppo, è troppo. Scongiurare il peggio è un imperativo (oltre che morale, ca va sans dire) politico, e chi ha tra le proprie responsabilità quella di indirizzare lo sviluppo della società, non può non porsi questo problema. Il libro di Piketty, nonostante il titolo evocativo, è tutt’altro che un libro di divulgazione comunista: si tratta di uno studio scientifico (ma accessibile a tutti) nel quale la fanno da padroni numeri, grafici, tabelle e riflessioni dati-alla-mano. Sapiente senza essere pedante (basti pensare che dal momento della sua pubblicazione in Francia, nel 2013, è stato subito bestseller, al momento tradotto in trenta lingue) è una lettura più che consigliata a chi ama i fatti (qui documentati in maniera esemplare) più che la retorica. Che assume finalmente la giusta prospettiva: studiare solo la ricchezza o solo la povertà, come se fossero due variabili indipendenti, non basta più; vanno studiate insieme, perché solo nella loro relazione può venir individuata la chiave per risolvere i problemi del pianeta (da quello sociale a quello ambientale). Un mondo più giusto è possibile; ma, prima ancora, è necessario. E urgente.
T. Piketty, Il capitale nel XXI secolo, ed. Bompiani, 2014, pp. 950, euro 22.
(«Il Caffè», 16 gennaio 2015)
