19, 20 e 21 luglio 2001. Per alcuni queste date non significano niente; per altri sono soltanto i tre giorni in cui si svolse a Genova il “vertice del G8”, incontro internazionale per il quale venne organizzato nel capoluogo ligure un gigantesco meccanismo di sicurezza, basato sulla presenza massiccia della polizia e l’uso delle “maniere forti” (nel cui merito non vogliamo entrare; si ricordi solo che il 20 luglio, a piazza Alimonda, moriva il ventitreenne Carlo Giuliani). Per molti altri, invece, il ricordo va oltre: a quella caserma dell’esercito situata nel quartiere genovese di Bolzaneto nella quale furono condotti e trattenuti, fino al 23 luglio, centinaia di manifestanti; parecchi dei quali, una volta rilasciati, recavano sul viso e sul corpo vistosi segni di un maltrattamento pesantissimo, che in nessun caso avrebbe potuto essere causato dal rispetto delle regolari procedure di detenzione e di interrogatorio: fu quasi spontaneo - anche se orribile - pensare alla tortura…
Roberto Settembre (magistrato ed estensore della sentenza d’appello sui fatti di Bolzaneto), nel suo ottimo Gridavano e piangevano. La tortura in Italia: ciò che ci insegna Bolzaneto (ed. Einaudi, 2014), mette il dito nella ferita e ci spinge a guardare alla cruda realtà dei fatti senza isterismi, ma anche senza sconti (ricordandoci che, sì, siamo in Italia, e non in una dittatura sudamericana; ma la “macelleria messicana”, il rischio della deriva verso il peggio, è sempre dietro l’angolo e può giungere violento e improvviso). Ma soprattutto, ciò che lo rende originale oltre che interessante, è la distinzione che traccia tra la verità storica e quella giudiziaria: sappiamo bene che le due non coincidono quasi mai, eppure siamo soliti (non potendo farne a meno) trattare la verità giudiziaria come la verità tout court, dove ognuno è innocente fino a prova contraria, e chi non possa essere condannato è per ciò stesso innocente. Ora, se questo garantisce la correttezza del procedimento giudiziario e l’assetto della democrazia, purtroppo non rende giustizia alle vittime, sovente umiliate una seconda volta dal vedersi negato il riconoscimento del torto subìto: c’è una verità più vera di quella giudiziaria, che finisce spesso relegata in secondo piano. Roberto Settembre la porta di nuovo alla ribalta, affinché sia di monito a noi: queste cose - accadute non nel “secolo breve” dei totalitarismi e dei campi di concentramento, ma nel nostro “terzo millennio” di 12 anni fa - non devono accadere mai più.
(«Il Caffè», 23 gennaio 2015)
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