venerdì 30 gennaio 2015

Frédéric Werst, Il mondo dei Wardi. I e II secolo. Un’antologia, ed. Clichy, 2014

I Wardi sono un popolo che, come tutti gli abitanti della terra, parlano una propria lingua: il wardesano. E, come tutti gli altri, si dedicano alla letteratura, alla scienza, alla filosofia, alla poesia, lasciando testimonianze scritte. Che certamente hanno qualcosa in comune con quelle che conosciamo meglio (il sapere greco o latino antichi, ad esempio), nel rapporto con la natura, con la divinità, nelle storie di dinastie che ascendono e declinano, di splendori, di esodi e disgrazie; ma che hanno anche delle loro peculiarità, come la concezione del tempo, dei paesaggi (che non hanno una causa ed esistono da sempre e per sempre) e delle loro “porte”. Leggere i loro scritti è un po’ come rivedere noi stessi, la nostra nascita, come siamo diventati quel che siamo; ma è anche sognare come avremmo potuto essere, quanto grande e ulteriore sia l’umanità che non ci immaginiamo, e quanto abbiamo bisogno di questa diversità per continuare a sperare e a guardare più lontano. Poco importa che i Wardi siano un popolo immaginario...
Un gioiello. Che non è solo un libro: è un’intera letteratura. E, attualmente, questo libro non è soltanto scritto in wardesano: esso è il wardesano, non essendoci altre testimonianze, documenti o uomini parlanti questa lingua. Uscendo per un attimo dal gioco meraviglioso e titanico imbastito da Werst, c’è qui un’antologia di scritti diversi (in versione bilingue: wardesano-italiano, tutti aperti da un’introduzione), dalla narrazione storica a quella mitica, dall’invocazione alla poesia, dal saggio al canto, dal trattato di morale a quello di metafisica; una grammatica del wardesano; un dizionario; un esempio di traduzione. Più di 550 pagine di spettacolo pirotecnico e finissimo, che attinge a certa filosofia interculturale (impossibile non pensare alla “parola creatrice di realtà” di Raimon Panikkar) e ha il pregio di porre in primo piano l’importanza della pluralità linguistica, sintetizzata in una riflessione: ogni quindici giorni una lingua si estingue e scompare, e con essa un modo unico, irripetibile, di concepire la realtà e di viverci. Può non sembrare grave come il disastro climatico o la crisi economica. Ma è qualcosa che ci rende comunque più poveri; anzi, più miseri. Sarebbe ora di cominciare a pensarci sul serio.


Frédéric Werst, Il mondo dei Wardi. I e II secolo. Un’antologia, ed. Clichy, 2014.

(«Mangialibri», 30 gennaio 2015)

Paolo Calabrò

Filosofia e Noir

Madrelingua napoletano, vive a Caserta, dedicandosi alla famiglia, alla filosofia e, ovviamente, al noir. Gestisce il sito ufficiale di Maurice Bellet in italiano