Un gioiello. Che non è solo un libro: è un’intera letteratura. E, attualmente, questo libro non è soltanto scritto in wardesano: esso è il wardesano, non essendoci altre testimonianze, documenti o uomini parlanti questa lingua. Uscendo per un attimo dal gioco meraviglioso e titanico imbastito da Werst, c’è qui un’antologia di scritti diversi (in versione bilingue: wardesano-italiano, tutti aperti da un’introduzione), dalla narrazione storica a quella mitica, dall’invocazione alla poesia, dal saggio al canto, dal trattato di morale a quello di metafisica; una grammatica del wardesano; un dizionario; un esempio di traduzione. Più di 550 pagine di spettacolo pirotecnico e finissimo, che attinge a certa filosofia interculturale (impossibile non pensare alla “parola creatrice di realtà” di Raimon Panikkar) e ha il pregio di porre in primo piano l’importanza della pluralità linguistica, sintetizzata in una riflessione: ogni quindici giorni una lingua si estingue e scompare, e con essa un modo unico, irripetibile, di concepire la realtà e di viverci. Può non sembrare grave come il disastro climatico o la crisi economica. Ma è qualcosa che ci rende comunque più poveri; anzi, più miseri. Sarebbe ora di cominciare a pensarci sul serio.
Frédéric Werst, Il mondo dei Wardi. I e II secolo. Un’antologia, ed. Clichy, 2014.
(«Mangialibri», 30 gennaio 2015)
