Amaro paradosso per un popolo che pur nelle diverse ombre - concentrate soprattutto nella parentesi contemporanea - ha dato tanto all’umanità. Zygmunt Bauman, sociologo polacco naturalizzato inglese di fama planetaria, scrive un penetrante saggio - che spazia dal pensiero di Scholem a quello di Marx, da Barth a Rosa Luxemburg, fino al nazismo e alla nascita dello Stato di Israele - sulle tappe e gli snodi di un percorso che ha portato - paradossalmente, appunto - la gente di Jahvè in una direzione completamente diversa da quella prevista. Colpa probabilmente di un’idea vetusta e contraddittoria di assimilazione, che ancor oggi pretende dall’immigrato un’accettazione della cultura ospite talmente integrale e “chimicamente pura” da implicare una rinuncia alla sua cultura d’origine. Non c’è futuro per questo orientamento: la storia raccontata in questo libro mostra, una volta di più, che l’assimilazione ha fatto il suo tempo (e ha fallito). La via d’uscita - per delle società globali e multiformi come le nostre - è l’interculturalità, armonizzazione nelle differenze: forse la cosa più difficile che esista, ma anche la più bella. Con la Postfazione di David Bidussa.
Z. Bauman, Visti di uscita e biglietti di entrata. Paradossi dell’assimilazione ebraica, ed. Giuntina, 2014, pp. 79, euro 10.
(«Mangialibri», 23 dicembre 2014)
