Con una mano sola si possono tirare pugni, ma non si può applaudire: conclusione metaforicamente applicabile a tutte quelle ideologie (in specie religiose, ma anche laiche o atee, come la parareligiosità nazista o comunista, o lo scientismo idolatrico di certa fisica o genetica) che elevano il proprio oggetto di adorazione sul piedistallo della “verità unica”, dall’alto del quale giudicare, indottrinare, sottomettere tutti gli altri. Con una verità sola, infatti, si può forse con-vincere l’altro e magari il mondo intero; ma non certo comprenderlo, perché la sua natura intrinsecamente multiforme richiede di necessità qualcosa di diverso dal monologo: il dialogo, che nel nostro mondo globale - post-moderno, post-coloniale, ecc. - diventa un’esigenza di fatto, oltre che di diritto. Nessuno infatti può rivendicare oggi - se non nella sua fantasia e nell’illusione di chi è disposto a credergli - il possesso delle soluzioni generali ai problemi dell’umanità (da quelli climatici a quelli economici), ed è sempre più evidente la disfatta di quel pensiero unico che fino a poco fa non faceva che parlare di ricchezza, e che ora non riesce a smettere di parlare di crisi…
Zygmunt Bauman, sociologo anglopolacco che non ha bisogno di presentazioni, dialoga in questo libro con Stanislaw Obirek, docente di religioni e intercultura all’Università di Varsavia, sulla divinità e sul suo ruolo nella società. Agnostico, Bauman rifiuta ogni proposta religiosa che chiuda l’orizzonte del confronto anziché aprirlo, che escluda “gli altri” invece di invitarli al comune banchetto del sacro. E lo fa con un’esposizione dotta ma non pedante, che spazia dalla sociologia alla filosofia, dalla teologia alla mistica, nella convinzione che la religione di questo tempo non possa che essere “politeistica”, polifonica, dal volto “mite” e inclusivo - come l’umanità multicolore esprime e richiede.
Z. Bauman, S. Obirek, Conversazioni su Dio e l’uomo, ed. Laterza, 2014, pp. 184, euro 15.
(«Mangialibri», 19 dicembre 2014)
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