Straordinario. Non solo un gran bel romanzo questa prima opera narrativa di David Cronenberg, mostro sacro del cinema horror psicologico (ma meglio si direbbe “psichiatrico”) d’oltreoceano, autore di capolavori come Videodrome e Brood: l’intensità del racconto colpisce, certo, ma quello che prima d’ogni altra cosa stupisce il “cliente affezionato” delle sue tante pellicole è come fin dal primo capoverso ci si renda conto di trovarsi nel suo mondo, segno di una cifra stilistica inequivocabile e folgorante, a base di una tecnologia onnipresente e invasiva (ad ogni angolo si inciampa in sigle, marchi, modelli di prodotti hardware e software), di una realtà virtuale che si interseca a quella reale fino a confondersi (tema caro a P.K. Dick, non a caso citato nel volume), dell’ossessione per la proliferazione della “nuova carne” (il cancro, in primo luogo, ma anche l’ibridazione con la macchina, magistralmente delineata in Crash), di una razionalità ipertrofica costretta a segnare il passo di fronte alla ribellione silenziosa ma devastante della materia (Rabid). C’è questo e molto di più nell’esordio in libreria di un autore che pur trattando lo stesso materiale immaginifico da svariate decine d’anni, non ha perso né l’originalità né la grinta. Quando ho letto in copertina il parere dello scrittore Bruce Wagner, secondo il quale Cronenberg sarebbe l’erede non solo di Borges ma perfino di Cronenberg stesso, ho sorriso pensando: “Le solite esagerazioni”. Ma, accidenti: aveva ragione.
D. Cronenberg, Divorati, ed. Bompiani, 2014, pp. 350, euro 18,50.
(«Mangialibri», 13 novembre 2014; «Pagina3», 28 novembre 2014)
