Milano. Carlo Monterossi si trova nell’ufficio della sua agente, Katia Sironi, la quale sta provando a convincerlo che 950.000 euro per un anno di lavoro non sono poi così male come si potrebbe credere. Certo, il quindici per cento va a lei, ma non è questo il punto: si tratta di fare televisione, la solita televisione. Ma lui rifiuta, si ostina, non dà spiegazioni. Roba da uscir fuori di senno. È la solita televisione, non è così? Non sarà il massimo, ma probabilmente non è nemmeno quel “barile di merda” che dipinge lui… Intanto, da tutt’altra parte - mentre due killer che “lavorano in società” cercano di capire quanto fuori di testa debba essere il loro cliente per fargli la proposta che hanno appena sentito - qualcuno uccide Marino Righi con un unico proiettile alla testa, poi recupera il bossolo e fa una telefonata per confermare al cliente che è tutto a posto...
A Robecchi non manca né la facondia né l’ironia: dal suo libro trapela sia l’abitudine al lavoro sui testi (tanto come giornalista quanto come autore teatrale e televisivo) sia l’inclinazione per certe serie americane dai dialoghi veloci e dalla battuta pronta. Il resto purtroppo non si allinea a queste capacità: e si ha la sensazione che non sia la struttura narrativa ad ospitare le continue boutade (alcune carine, altre meno) bensì, al contrario, che sulle continue facezie si cerchi di costruire un’ossatura che da sola non riuscirebbe a stare in piedi. Non certo il peggior noir italiano degli ultimi anni, ma probabilmente un romanzo che, con il senno di poi, non si sceglierebbe.
A. Robecchi, Questa non è una canzone d’amore, ed. Sellerio, 2014.
(«Mangialibri», 5 novembre 2014; «Pagina3», 18 novembre 2014)
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