In apertura del suo ultimo L’io come cervello (ed. Raffaello Cortina) Patricia Churchland continua la sua indagine filosofica nell’ambito delle neuroscienze, argomento à la page ma, come spesso accade in questi casi, in gran parte misconosciuto, frainteso, abusato. Di fatto, con le neuroscienze tendiamo sempre un po’ a esagerare: le amiamo o le odiamo, e ci è difficile rimanere neutrali (qualche volta si assiste perfino alla difficoltà di rimanere lucidi). Perché?, si chiede l’autrice. Non è soltanto il fatto che le neuroscienze pretendano talvolta di saperne più di noi su noi stessi: a questo siamo già stati abituati dalla psicanalisi (la quale però non ha mai preteso di portarci in tribunale con delle prove “schiaccianti” a nostro carico). Un po’ forse si tratta dell’ennesima detronizzazione dell’uomo, già depauperato dall’evoluzionismo e dall’eliocentrismo. Un po’ ancora c’è la novità che esse rappresentano: le neuroscienze potrebbero effettivamente essere una nuova rivoluzione nell’ambito della conoscenza, e questo significa non solo il crollo di alcune certezze, ma anche il crollo di alcune posizioni di potere. D’altro canto - la Churchland è onesta nell’affermarlo, nonostante il suo schieramento evidente e dichiarato per questa disciplina - in parte la colpa è da attribuirsi alle neuroscienze stesse e più precisamente a quei tanti neuroscienziati che continuano a cavalcare l’onda del suo successo infarcendo la teoria genuina di slogan e piegando i risultati reali alle loro personali o collettive posizioni filosofiche: ecco che i grafici a colori di quelle lievi alterazioni dell’attività cerebrale registrate durante i processi cognitivi, diventano per loro suggelli inappellabili che il libero arbitrio non esiste, che la coscienza morale è un’illusione e ciarlatanerie di questa risma.
Come sta realmente la situazione? In verità, non ne sappiamo ancora molto; e certamente restano irrisolte alcune questioni fondamentali. Quel che è certo è che l’attività dell’uomo - sia essa razionale o inconscia o motoria - è legata a filo doppio a quella delle sue strutture materiali - il cervello, i nervi, i muscoli - e non si dà l’uno senza l’altro. Quindi la morale è nel cervello? Verrebbe da rispondere sì, nella misura in cui essa non può prescindere dal cervello per esplicarsi; per contro, sarebbe arbitrario e irrispettoso dello stato attuale della conoscenza dire che tutto ciò che l’uomo è possa essere per ciò stesso ridotto al suo cervello. Un esempio per tutti: si osserva che i ricordi cambiano parallelamente alla modificazione delle connessioni neurali del cervello; ma questo basta a dire che il cervello conservi all’interno della sua disposizione i ricordi? Se così fosse, dovrebbe poter esservi individuata la cosiddetta “traccia mnestica”, cioè il percorso delle connessioni stabilite ai fini della memorizzazione del ricordo. Ebbene, la traccia mnestica non è mai stata trovata: è dunque per ora solo un’ipotesi fra le tante. Del resto la comunità scientifica è divisa su questo punto: ci sono ancora ricercatori che sostengono la traccia mnestica non esistere affatto, e che il cervello non sia un grosso archivio della memoria, ma una specie di radio capace di sintonizzarsi sui ricordi, dislocati in un altrove che ha a che fare col passato e col futuro. Fantascienza? Può darsi, ma non più di quelle teorie che pretendono di fare dell’uomo un complesso meccanismo senza avere il minimo appiglio per sostenerlo. Siamo insomma ancora molto vicini alla celebre annotazione di Wiener, il padre della cibernetica: “Se il cervello umano fosse abbastanza semplice da poter essere compreso, noi saremmo troppo semplici per poterlo comprendere”. Non che sia un dogma, ovviamente; il futuro ce ne parlerà ancora. E in fin dei conti non è neanche vero che non abbiamo ancora scoperto niente: sono già emerse relazioni tra l’attività cerebrale e il cosiddetto comportamento morale, la coscienza e la formazione delle nostre decisioni. Vale certamente la pena di continuare a indagare. E quindi se da un lato è vero che non ne sappiamo ancora molto, è anche vero che da qualche parte bisogna pur cominciare. Il libro della Churchland è un buon punto di partenza.
P. Churchland, L'io come cervello, ed. Raffaello Cortina, 2014, pp. 306, euro 28.
(«Filosofia e nuovi sentieri», 8 ottobre 2014)
Modulo di contatto
Etichette
aforismi
Alex Zanotelli
altrui cose
Ambiente
Bambini
Bauman
Bellet
biografia
Brunetta
Bullismo
C'è un sole che si muore
Carlo Sini
Cinema
Claudio Fava
Claudio Fracassi
ControCorrente
Daniele Sensi
Desaparecidos
Diego De Silva
Dio perverso
Dipendenze
disabilità
don Andrea Gallo
don Luigi Merola
don Paolo Farinella
e-book
Economia
Educazione
Ennio Remondino
esercito
Etica d'impresa
eventi
Facebook
Fantascienza
Filosofia
Filosofia della scienza
Foto
Fumetti
Galapagos
Geografia
Giochi
Giulietto Chiesa
Giuseppe Miserotti
Giuseppe Onufrio
Goffredo Fofi
guerra
Guerra e pace
Hegel
Heidegger
i piccoli
Idiosincrasie
Il Partito dell'Amore
il telefonino
Illich
Immigrazione
In che mondo viviamo
Incendi in Russia
Internet
L'azzardo del gioco
L'economia come la vedo io
La Chiesa che non capisco
La guerra è guerra
La piaga del nucleare
La verità cammina con noi
le cose si toccano
Letteratura
lettere
Levinas
Libertà di stampa
Linguaggio e realtà
Luciano Gallino
Luigi Zoja
Mafia
Malainformazione
manuali
Marx
Massimo Cacciari
Massimo Scalia
Massoneria
Matematica
Maurizio Torrealta
Mondo
Morin
Musica
My Last Slating
Noir&Giallo
Novità
Nucleare
Pancho Pardi
Panikkar
Paolo Scampa
Parcheggiatore abusivo
pedagogia
Pietro Barcellona
Pippo Civati
Pirateria somala
poesia
Politica
psicologia
Pubblicità
Racconti e poesie
Religione
Riccardo De Lauretis
Roberto Carboni
Scienza
Scuola
Scusi può ripetere?
Sergio Manghi
Società
sport
Stefano Santasilia
Storia
Teatro
Tecnofollie
Tonino Drago
Vincenzo Pepe
Virtù del pubblico - Vizi del privato
Vito Mancuso
War
Powered by Blogger.