La critica alla crescita economica a tutti i costi, da parte dei tanti e diversi sostenitori della cosiddetta “decrescita” è nota: il pianeta non è in grado di sostenere un ulteriore aumento della temperatura, il grado di inquinamento sta rendendo l’aria irrespirabile e l’acqua imbevibile, la desertificazione progressiva e la povertà spingono masse enormi di uomini all’emigrazione forzata… e per tutti questi motivi - indistintamente riconducibili alla crescita - è necessario prendere in considerazione (ma ancor prima inventare) dei nuovi sistemi economici che - comunque li si voglia declinare: in senso più o meno laico o religioso, più o meno favorevole a un certo tipo di industria o di fonte energetica - siano in qualche modo alternativi alla crescita.
Non tutti i modelli si basano però su invenzioni belle e buone: se la parola d’ordine è che “indietro non si torna” (perché il passato non si presenta mai una seconda volta allo stesso modo; ma anche perché nessuno ha voglia - nemmeno tra gli ecologisti più ascetici - di ritornare a un livello di civilizzazione pre-industriale che faccia a meno di comodità come l’acqua calda, l’elettricità, il treno, la radio), d’altro canto non tutto ciò che viene dal passato è per ciò stesso inutile o sbagliato. Già Massimo Fini, molti anni fa, proponeva l’ipotesi che la “ragione avesse torto”, sostenendo che il progresso a tutti i costi avesse condotto l’umanità a misconoscere che, da un certo punto in poi, i costi avevano superato i benefici (sviluppando in ciò una precedente ispirazione di Ivan Illich) e che bisognasse attingere alla lezione del Medioevo per recuperare i principi della saggezza e perfino dell’organizzazione sociale.
Oggi Maurizio Pallante, nel suo Monasteri del terzo millennio (Lindau) porta all’attenzione che qualcosa da recuperare nel nostro passato ci sarebbe: i monasteri, esempio classico - e, secondo l’autore, insuperato - di autosufficienza economica, sviluppo delle proprie abilità, basso impatto energetico, centralità dell’agricoltura, apertura all’esportazione (oltre che alla spiritualità). Non perché si debba diventare tutti frati, ma per poter scoprire la più importante delle lezioni che il monastero può offrire: il senso del limite, della giusta misura delle cose. Atteggiamento dal quale discende tutto il resto: una politica economica ed energetica sostenibile, un uso assennato (mentre quello odierno, che si autodefinisce “razionale”, non è in realtà altro che “rapace”) delle risorse della terra, amore genuino per l’ambiente in cui si vive. Idee talmente vecchie da poter essere veramente utili oggi. Di nuovo.
(«Il Caffè» 4 aprile 2014)
domenica 6 aprile 2014
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