Come nasce la scienza? La scienza nasce dal tentativo di superare il pregiudizio, basando il proprio giudizio sulla verifica. Accade fatalmente, tuttavia, che il pregiudizio ritorni nel cuore della scienza stessa, finendo per annidarvisi; ciò accade quando il mondo scientifico tende a chiudersi di fronte a idee e scoperte innovative (magari in grado di recare un grande progresso alla conoscenza) in favore di idee vetuste e poco probabili (ma più intuitive e meno “telluriche”), impedendo così alle prime di manifestare la propria validità.
Rupert Sheldrake, biologo non molto noto in Italia, ma che gode di un alto prestigio nell’ambito della comunità scientifica (peraltro era molto stimato dal filosofo catalano Raimon Panikkar, che sovente lo citava), lotta da sempre contro questo atteggiamento molto diffuso tra gli uomini di scienza. Nel suo libro Le illusioni della scienza. 10 dogmi della scienza moderna posti sotto esame (ed. Urra-Apogeo, marchio del gruppo Feltrinelli) Sheldrake mette a nudo alcuni di questi pregiudizi, convinzioni che la maggior parte degli scienziati porta avanti non solo in assenza di valide prove a supporto, ma spesso contro l’evidenza stessa: è il caso ad esempio delle cosiddette “costanti”, il cui valore risulta in molti casi essere oscillante oltre ogni ragionevole dubbio (senza che ciò abbia la minima ricaduta sul comportamento degli scienziati, che continuano a trattare le “costanti” come se lo fossero davvero).
Gli esempi si potrebbero moltiplicare, cosa che Sheldrake fa nelle oltre 350 pagine della sua indagine, sempre documentata con rigore e corredata da una sconfinata bibliografia. Tuttavia il vero bersaglio della sua demistificazione non sono singoli argomenti, ma l’intera impostazione ideologica: quella forma di grezza di monismo, oggi imperante nella mentalità scientifica, che prende il nome di “materialismo”. Sheldrake - che propone di superare sia questo monismo sia il dualismo cartesiano (trovando anche in tale tentativo una forte sintonia con la filosofia di Panikkar) - dedica un altro dei suoi libri più ponderosi e interessanti (La presenza del passato. La risonanza morfica e le abitudini della natura, ed. Crisalide) all’esame del funzionamento della mente dell’uomo, attraversando la biologia, la filosofia, la psicologia, la chimica e la fisica quantistica, per approdare a una teoria - quella della “risonanza morfica”, appunto - che gode già di un numero apprezzabile di conferme sperimentali ed è in grado di superare tante aporie del riduzionismo materialista (tipico di certe neuroscienze che pretendono di poter ridurre la mente e la coscienza dell’uomo all’attività del cervello), come ad esempio quella della “traccia mnestica”.
Sheldrake non pretende di possedere la verità o le soluzioni a tutti i problemi aperti: quello che chiede - e a gran voce, con il supporto dei dati e delle sue ricerche trentennali - è che la scienza non chiuda la porta a certe ipotesi per principio (atteggiamento che fa pensare alla presenza ingombrante di veri e propri tabù). Questi due libri vanno consigliati a chi preferisce il gusto aspro ed eccitante della frontiera del sapere, a quello dolciastro e rassicurante della scienza-per-le-masse. Solidi e privi di ogni sensazionalismo, gli studi di Sheldrake sono con ogni probabilità destinati a far parlare ancora di sé.
(«Pagina3», 12 dicembre 2013)
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