sabato 5 ottobre 2013

Il chiodo fisso


Berlusconi: in Italia non si parla d’altro che di questo, dopo la condanna definitiva per frode. Pro e contro che si sia: lo si biasima e lo si elogia, lo si attacca e lo si difende, talvolta perfino per gli stessi motivi. Addirittura - quel che è peggio - con gli stessi cliché: dal senatore Renato Schifani che incolpa il PD di aver preparato una “camera a gas” per l’avversario politico, al Presidente di RCS Libri Paolo Mieli, il quale sostiene che Berlusconi passerà alla storia “come Hitler e Stalin”. Al fotofinish arriva Violante a dire che “la magistratura ha un’autogestione totalitaria” (non chiedetemi cosa significhi), insieme alla Mussolini (“senza voto segreto saremmo in un sistema dittatoriale”, ha detto a proposito del voto sulla decadenza).
Pare che abbiano tutti un chiodo fisso: i totalitarismi del secolo scorso. Probabilmente è solo una cronica e ormai ventennale mancanza di fantasia. Ma perché dico “ventennale”? Forse il mio inconscio mi rimanda sottilmente e quasi impercettibilmente al fascismo? O, più semplicemente, sto cercando di dare a Berlusconi anche la colpa di aver inquinato per vent’anni - oltre alla politica - anche la nostra immaginazione?
Per un verso non c’è dubbio che sia stato esattamente così. Per l’altro, nemmeno si può dire che l’omologazione del linguaggio sia (solo) colpa sua: un cliché è un cliché, e soprattutto se brucia ancora (come nel caso dei totalitarismi) non c’è niente di più facile da usare per criminalizzare l’avversario politico che si disprezza (che sia Berlusconi - nel caso di Mieli - o il PD “giustizialista” - nel caso di Schifani).
Tutto ovvio. Eppure, nella massificazione generale delle idee e del linguaggio di questa parentesi politica, c’è qualcuno che è riuscito a superare tutti gli altri, facendo anche dell’abusato qualcosa di eccezionale. Non vi tengo sulle spine: è stata Barbara Berlusconi, figlia di cotanto padre. La quale - dall’alto del suo brillante 110 e lode in Filosofia (a quei tempi all’Università Vita-Salute San Raffaele c’era ancora Don Verzé) - è riuscita a spararla più grossa di tutti, surclassando di botto amici, parenti, giornalisti e funzionari di partito.
Ecco la perla: «Abbiamo fatto tanto per uscire dal totalitarismo e adesso? Anche nelle dittature si cerca di distruggere l’avversario per via giudiziaria». Bum. Barbara, Barbara. Cosa direbbe Matteotti se potesse sentirti? I totalitarismi non si limitano a condannare gli avversari nell’ambito di processi ventennali (tanto lunghi da finire in prescrizione nel 98% dei casi): i dittatori i nemici li uccidono. Hai capito, ragazza mia? Pensa agli ebrei, pensa ai kulaki. Ecco, non ti chiedo di laurearti anche in storia prima di tornare ad aprire bocca (per quanto riconosco che l’idea sarebbe auspicabile e benvenuta): ti chiedo di pensare. Per carità, è tuo padre, è comprensibile che tu voglia fare di tutto per tirarlo fuori dal pantano. Ma rifletti prima di parlare. Ché poi i giornali riprendono tutto quello che dici e finisce che la gente crede che papà Silvio sia uguale a Gramsci. Osserva bene la differenza: Gramsci dal carcere ha scritto i Quaderni, pieni delle verità in cui credeva. Tuo padre invece ha fatto proprio il contrario: ha passato la vita a piede libero a scrivere bilanci pieni di falsità. Spero che almeno questo riusciate a capirlo, tu e i tanti che la pensano come te e che, in fin dei conti, dicono più o meno le tue stesse cose. Almeno questo.

(«Il Caffè», 4 ottobre 2013)

Paolo Calabrò

Filosofia e Noir

Madrelingua napoletano, vive a Caserta, dedicandosi alla famiglia, alla filosofia e, ovviamente, al noir. Gestisce il sito ufficiale di Maurice Bellet in italiano