sabato 28 settembre 2013

Il silenzio, il segno e la parola. Intervista a Michele Iacono

«La storia dell’umanità è essa stessa parola», scrive in apertura. Com’è quest’avventura che racconta nel Suo libro Il silenzio, il segno e la parola (ed. l'Epos)?
È una grande e straordinaria avventura che affascina noi moderni come penso abbia affascinato i nostri progenitori. Schiere di illustri studiosi si sono cimentate a raccontarla, poiché accorgersi dell’esistenza di una vita che si racconta è uscire dal solco della vita biologica che per 4 miliardi di anni si è manifestata in una epifania stupefacente ma silenziosa. Gli essenzialisti, antichi e moderni, hanno proposto la soluzione di un Logos imperituro come manifestazione dell’umano. Io propongo al contrario, una visione in cui la storia umana inizia con il più profondo silenzio, in uno spazio e in un tempo in cui, ancora prima dell’avvento della parola che ci qualifica come esseri umani, abbiamo dovuto invertire aspetti salienti della biologia della vita; primo di tutto la memoria delle cose, cos’è una storia senza memoria? Ma la memoria in “natura” non ha proiezioni, né propone piani percettivi di modelli di modelli. La storia dell’uomo come dico, inizia sì con la parola, ma non s’identifica con la sola parola “parlata”, esiste un prima dell’avvento della parola, ed è ciò che ho provato a raccontare. Il Logos, l’anima, lo spirito, la coscienza e il linguaggio, come concetti, sono i tentativi umani di dare un senso alla nostra vita. Molti biologi, Dawkins e altri, si meravigliano di cosa sia la coscienza, ma come si racconta la storia dell’umanità con la sola biologia?

Può sembrare troppo ambizioso proporre di rispondere a quella che Lei stesso chiama “la domanda delle domande”: perché l’uomo parla?
In effetti è molto ambizioso come progetto e molti studiosi a cui ho inviato il libro si sono chiesti: non converrebbe provare a ridurre l’indagine ad alcuni aspetti, piuttosto che disperdersi tra le mille discipline che entrano in campo? Penso a libri come La specie simbolica di T. Deacon, o L’origine della comunicazione umana di M. Tomasello, o a quello di Dennett, Coscienza. Cosa è? Sono tutti tentativi di rispondere alla stessa identica domanda: cosa siamo? Perché parliamo? Cosa ci rende diversi? Lungo questo solco non mi sento solo, dunque, a provare a rispondere a quella domanda. Prendo però un’altra strada; cerco indizi, tracce, segni che mi hanno suggerito una tesi non molto usuale: la scrittura o la creazione di segni prima della parola; il che ci spiegherebbe il lungo periodo di gestazione, nel passaggio tra le varie specie di Homo.
Il silenzio, il segno, la parola; tre termini, un unico referente: l’uomo.
Certo, l’uomo! Nell’introduzione del libro do l’indicazione di ciò che cerco: mostrare come la parola sia potuta nascere passando da una fase in cui non c’era nessun pensiero, nessun io e nessuna formazione sociale. Alcuni cercano l’uomo in rapporto al divino (vedi le discussioni in questi giorni sul rapporto tra credenti e laici), altri lo vogliono lungo il solco di una biologia che non riesce a spuntarla con domande circa l’intelligenza, la coscienza e il linguaggio stesso. Io cerco di raccontare di come sia stato possibile innalzarsi sulle gambe e con visione pan-oramica osservare un mondo nuovo, interrompere o frenare il flusso impellente di stimoli ad alta valenza biologica e chimica (ricerca di cibo, riproduzione, ecc.), creare segni (la scrittura è innanzitutto un graffiare, un incidere, uno scalfire) e su questi segni le prime memorie, rimodulando tracce mnestiche non più aleatorie ma stabili e visibili. La specie Homo si affaccia al mondo a raccontare la sua storia perché ha scoperto la stabilità di uno stimolo che ha ora prodotto e può riprodurlo. Coscienza di un segno? Credo proprio di sì. Tutte le categorie che noi abbiamo costruito e su cui si regge il nostro esserci, religione, morale, coscienza, politica, sono il frutto delle stratificazioni pedagogiche iniziate da habilis/erectus e passate alle generazioni future; siamo la risposta ad una domanda poiché in natura, per definizione, non ci sono risposte ma solo manifestazioni, epifanie.
Che rapporto c’è tra il silenzio e la parola?
C’è un abisso profondissimo e non colmabile. Chomsky e molti altri pensatori prima di lui hanno immaginato una sorta di miracolo avvenuto in questa specie incerta e irrequieta, in evoluzione che non ci aveva previsto, come dice Telmo Pievani. All’improvviso si sarebbe implementata una sorta di miccia neurologica che esplodendo avrebbe innescato dei moduli linguistici (come vuole Fodor), il tutto condito da una visione dell’uomo che dovrebbe avere una psicologia (e un’anima) e garantire e far scaturire l’Io, la coscienza e il linguaggio. La psicologia si presta oggi a questo gioco; una storia millenaria che parla di anima, spirito, coscienza, processi cognitivi e di intersoggettività come misura della relazione tra gli uomini. Stranamente non si avverte da quale fondo silenzioso l’uomo sia pervenuto, perché siamo così impregnati di quel Logos greco-cristiano, che non ci avvediamo della grandezza dell’uomo che ha saputo rompere “il silenzio che regnava sovrano”. Nessun logos vi era dunque all’inizio, ma un silenzio biotico che viveva e vive della propria riproduzione genetica. I segni sono ciò che siamo riusciti a produrre e con quei segni abbiamo, per la prima volta, provato a dare una “risposta”, ad una domanda che la natura non si era mai posta.
Dal 2009 è impegnato in una ricerca sulle dipendenze da internet. Quale sarà il Suo prossimo libro?
La ricerca sul mondo giovanile e dipendenze da internet è stata ultimata nel 2012, con dati davvero drammatici soprattutto per quanto riguarda gli adolescenti, con punte di dipendenza intorno al 39% (età 12/14 anni) per scendere intorno al 27% per le fasce di età 18/21 anni. È stata pubblicata la prima parte della ricerca sulla rivista «Dal fare al dire» (n. 2, 2011, Publiedit), specializzata sulle patologie da dipendenza e stiamo cercando come ASL di pubblicare tutta la ricerca, per distribuirla alle scuole e alle associazioni, oltre che alle famiglie, almeno nel distretto palermitano. In questi mesi preparo il materiale per un secondo libro a difesa del primo, dal titolo provvisorio: Legenda: cose da scrivere.

Michele Iacono (Termini Imerese 1954) ha conseguito la laurea in Pedagogia presso la Facoltà di Magistero di Palermo. Negli anni Novanta ha collaborato con la Fondazione Costa di Palermo in qualità di formatore nei corsi per assistenti sociali e nello stesso periodo, presso l’Ecap, ha insegnato Psicologia dell’età evolutiva e Tecniche di animazione.


M. Iacono, Il silenzio, il segno e la parola, ed. l'Epos, 2012, pp. 224, euro 38,80.

(«Pagina3», 28 settembre 2013)

Paolo Calabrò

Filosofia e Noir

Madrelingua napoletano, vive a Caserta, dedicandosi alla famiglia, alla filosofia e, ovviamente, al noir. Gestisce il sito ufficiale di Maurice Bellet in italiano