Quest’epoca ha dunque bisogno di uomini che conoscano bene gli ingranaggi dell’economia (che ora non è più solo una teoria matematica ma la forma di pensiero dominante, almeno in Occidente; al punto che i politici, prima di un’uscita pubblica, si preoccupano di valutare le possibile reazioni dei mercati finanziari; o al punto che le priorità delle agende istituzionali non sono più il lavoro o la salute, ma il patto di stabilità o il pareggio di bilancio). Così come c’è bisogno di uomini che ricordino bene l’importanza di quelle radici filosofiche e le pongano nuovamente alla pubblica attenzione.
Possiamo comprendere la gravità della crisi globale in corso solo se esaminiamo quel che sta accadendo alla vita reale degli esseri umani.
A. Sen ed. all., Sull’ingiustizia, ed. Erickson
Uno di questi uomini - e dei più importanti, Premio Nobel per l’economia nel 1998 - è Amartya Sen, che nei suoi scritti sa evitare la moda di porre al centro del ragionamento il reddito e il PIL per concentrarsi su ciò che veramente conta in economia (nella misura in cui questa “scienza triste”, come è stata definita, intende ancora porsi al servizio dell’uomo): l’integrazione sociale dell’uomo e la sua libertà. In una parola: la giustizia.
Nozione che dà il titolo al suo ultimo saggio, “La giustizia e il mondo globale”, contenuto nel volume Sull’ingiustizia (ed. Erickson). Qui, insieme ad altri economisti che ne commentano il nocciolo teoretico da varie prospettive, Sen affronta senza mezzi termini il problema dell’ingiustizia con una chiarezza disarmante: «i problemi della giustizia sociale costituiscono materia di persistente preoccupazione, ma hanno acquisito un’ulteriore priorità a causa della crisi economica globale». Un’affermazione che è come una ventata d’aria fresca, dopo che giornali e televisioni ci hanno anestetizzati parlando della crisi in termini di spread, risanamento delle banche, austerity e tagli alla spesa. Per Sen, come per gli altri autori (la cui viva voce è resa dall’ottima traduzione italiana di Riccardo Mazzeo), la giustizia sociale non è un parametro come un altro cui prestare attenzione e basta: la giustizia sociale è un obiettivo da perseguire in direzione della pace, fuori dalle tante logiche di guerra che mettono eternamente in conflitto i poveri e i ricchi. La ricchezza va condivisa nella maniera migliore non perché lo richieda l’ottimizzazione delle curve analitiche dei grafici: ma perché possiamo essere e dirci uomini solo se siamo giusti con chi ci sta accanto. A che ci serve accumulare tutta la ricchezza del mondo, se poi non possiamo più chiamarci “uomini”?
(«Il Caffè», 26 luglio 2013)