La “pecca” di Jonas - se si può ardire una simile espressione nei confronti di un autore di questo calibro - non è l’eccesso nella presupposizione di una dimensione divina (quella “sostanza spirituale” che la filosofia contemporanea ha giustamente tanta difficoltà a maneggiare) ma, al contrario, per difetto: per non essersi spinto a sostenere «la libertà, l’interiorità, la soggettività» non solo di ogni uomo e di ogni creatura vivente, ma anche di ogni pietra, di ogni pulviscolo, di ogni molecola e particella “inanimata”. Forse nello sforzo di fare maggiormente breccia (dall’interno) in un sistema scientifico già parecchio arroccato sulle proprie posizioni, Jonas evita una rottura troppo forte col paradigma accettato, ma al contempo mantiene una frattura insanabile all’interno dell’unica realtà, fra ciò che è “vivo” e ciò che non lo è (per ironia della sorte, la stessa scienza positiva oggi spariglia le carte e afferma che dire “vivo” o “inanimato” è più che altro una questione di convenzioni accettate e di comodità).
Brancato, che dedica un ampio capitolo al confronto fra Jonas e la filosofia contemporanea (in particolare l’evoluzionismo), si muove a proprio agio nell’ambito della solida Bibliografia, consegnando un lavoro che fa il punto della situazione negli studi jonasiani e sa farsi leggere con fluidità.
Francesco Brancato, La materia vivente. Dio, uomo e natura nel pensiero di Hans Jonas, E. Messaggero di Padova, 2012, pp. 240, euro 18.
(«Pagina3», 25 maggio 2013)
