sabato 20 aprile 2013

Il Vangelo secondo gli italiani

Quando ci parli sono tutti cattolici. Anche se molti si affrettano ad aggiungere: “non praticante”. Anche quando incappi nel sedicente ateo-agnostico-razionalista-progressista, scopri subito che è più moralista e conservatore degli altri: niente matrimoni gay; se sì, niente adozioni; in ogni caso “a loro la libera scelta, ma io voterò sempre contro”.
Senza nulla togliere ai laici D.O.C., diciamoci pure in tutta sincerità che in Italia sembrano essercene ben pochi. A parole, dunque, i cattolici (e quelli che, in un modo o nell’altro, la pensano come loro) sono tanti; nei fatti, è difficile trovarne uno “al posto suo”, uno che non rubi abitualmente in ufficio, che non evada il fisco, che non sia a favore della pena di morte (almeno in certi casi; perché, “quando ci vuole, ci vuole”) o della guerra (se non altro quando è “giusta”; ricordiamo che fu il cattolicissimo Giulio Andreotti a definire “operazioni di polizia internazionale” - era il lontano 1991 - le guerre che noi oggi, con un pizzico di spregiudicatezza in più, definiamo “missioni di pace”).

Il Vangelo è uguale per tutti. Ma gli italiani hanno un modo tutto loro di interpretarlo

Insomma, tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare, e pare che si contino sulla punta delle dita quelli che - pur cristiani - sono disposti a prendersi la croce sulle spalle e rinunciare ai propri privilegi per offrire al prossimo l’altra guancia, o la metà del proprio mantello. Schizofrenia che Francesco Anfossi e Aldo Maria Valli stigmatizzano nel loro Il Vangelo secondo gli italiani (ed. San Paolo), dedicato all’analisi dell’ultimo mezzo secolo di politica cattolica in Italia, fra religiosità populiste (quella ad esempio della Lega), popolari in senso deteriore (come quelle che, soprattutto al sud, tengono in vita forme arcaiche e superstiziose di spiritualità, lasciando al contempo intatte le connivenze mafiose più disparate), di convenienza (le tante strizzatine d’occhio alla Chiesa su IMU, ICI e tasse varie, da parte di gente come Berlusconi e seguaci), perfino sincretiche (ancora una volta, quelle paganeggianti della Lega).
Per dirla in sintesi, riprendendo il sottotitolo del libro: diciamo di credere in certe cose, ma crediamo in tutt’altro (e sono i nostri comportamenti a mostrarlo, nelle politiche discriminatorie verso gli immigrati, nelle tante disuguaglianze sociali tollerate o addirittura incentivate, ecc.). Se i raggruppamenti cristiani in Parlamento, concludono gli autori, predicano bene e razzolano male, ebbene, non è più soltanto perché “questo è ciò che ci meritiamo”. È peggio di così: continuiamo a volere e votare loro perché ci immedesimiamo. Colpa evidentemente non solo della politica, ma anche di coloro che sarebbero preposti al rinnovamento dell’offerta spirituale e che invece non fanno altro che reiterare una proposta stanca e di comodo; di facciata e a buon mercato, invece che profonda e costosa (in termini di rinunce, di modifica del modo di pensare e dello stile di vita, ecc.).
La disamina degli autori è impietosa, ma non disperata: c’è ancora tanto spazio in politica per i cristiani - quelli veri, quelli dell’amore che dà la vita, non della legge che uccide. Tutti gli audaci in buona coscienza, ordunque, facciano un passo in avanti.

(«Il Caffè», 19 aprile 2013)

Paolo Calabrò

Filosofia e Noir

Madrelingua napoletano, vive a Caserta, dedicandosi alla famiglia, alla filosofia e, ovviamente, al noir. Gestisce il sito ufficiale di Maurice Bellet in italiano