L’enigma di Flatey è uno di quei libri che si vorrebbe saper scrivere. Un requiem per il romanzo giallo nel quale tutti sono innocenti ma nessuno è senza colpa; in cui il passato dei personaggi ne comprime il presente fino a ridurlo alle dimensioni di un bricco d’acqua, in perenne ebollizione; in cui l’ambientazione - splendida e avviluppante - colloca ogni volta le cose in una luce nuova, diversa, tutta sua.
Cominciamo dallo stile. Ingólfsson firma un romanzo scritto con eleganza e maestria, i cui personaggi sono tutti coprotagonisti, per la precisione del tratteggio e per la loro insostituibilità all’interno della trama. Dove i nodi vengono al pettine per vie traverse e insospettate, come spesso accade; dove la verità di ciascuna storia personale si rivela coagulandosi attorno all'indagine e del delitto, alla fin fine, quasi ci si dimentica.
Il passato. Quella forza che il Codice di Flatey - raccolta delle più antiche saghe del nord - racchiude nel suo enigma e nella sua runa; enigma cui molti sacrificano la vita intera, dedicandola allo studio, fino a trovare la morte inflitta dalla maledizione che lo accompagna. Un passato che convive sempre con il presente, perché - detto nelle parole semplici del Corvo - «non bisogna dar ascolto soltanto alla Bibbia ma anche alle saghe islandesi e a quello che raccontano i vecchi».
Da ultimo, se proprio non si può dire che il vero protagonista sia l’Islanda, è pur vero che il paesaggio è la presenza più costante e pervasiva: a partire dall’arcipelago di Flatey, con le sue tante isolette i suoi pochi abitanti; con i suoi tanti scorci desertici e ghiacciati che - improvvisamente sommersi dalla marea - terrorizzano gli incauti attraversatori; un mondo pieno di oggetti suoi propri - come l'osso di balena sul quale ci si siede - e di presenze vitali - dai vitelli che scorrazzano alle sterne che attaccano in stormo i visitatori, sino alle foche e agli onnipresenti Pulcinella di mare - presenza che si concretizzerà nella visione finale degli spiriti del luogo da parte del delegato prefettizio. Una vicenda narrata quasi interamente all’aperto, nella quale gli interni sono appena abbozzati e sembra di poter sentire il vento anche quando non soffia l’aria fredda sulla faccia; dove tutto resta sullo sfondo di un’esistenza a contatto diretto con la terra, con il mare, con la pioggia, dove il medico condotto si reca dai pazienti in barca a motore e dove la radio e il giornale non sono che parentesi (mentre la fonte più sicura di informazioni resta il mercante del porto).
Curato anche nella traduzione (finalmente leggiamo "Copenaghen" scritto all'italiana e non nell'errata e diffusissima forma inglese), L'enigma di Flatey è il racconto di un'investigazione corale e particolarmente poco poliziesca per una lettura di grande fascino, stampata nella collana “Ombre” dell’editore Iperborea.
Viktor Arnar Ingólfsson, L'enigma di Flatey, ed. Iperborea, collana Ombre, 2012, pp. 288, euro 16,50. Pubblicato con il contributo di Bok Icelandic Literature Fund.
(«Pagina3», 9 marzo 2013)
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