sabato 2 marzo 2013

La vita come la guerra

La vita come la guerra: è questa l'immagine che rimane in mente alla fine della lettura di La guerra cognitiva nella riflessione strategica francese contemporanea, scritto da Giuseppe Gagliano (edizioni scientifiche Tangram), dedicato all’analisi comparativa delle teorie e delle interpretazioni di diversi esperti del settore; nel quale si parla di tattica sul campo di battaglia, di paradigmi strategici e del ruolo della disinformazione e della propaganda nei conflitti. Senza voler negare la perizia con la quale l’autore espone le proprie tesi (non sempre di immediata accessibilità), sembra infatti un po’ affrettata l’assimilazione della “guerriglia civile” (incruenta) di ONG come Greenpeace o l’italiana No Dal Molin alle guerre in senso stretto, quelle per intenderci con i bombardamenti “intelligenti” (è infatti difficile paragonare - come Gagliano propone, mettendole sullo stesso piano - le migliaia di vittime civili mandate per aria in brandelli, alle campagne di informazione portate avanti dalle associazioni contro lo strapotere delle multinazionali, spesso finalizzate a null'altro che ad ottenere condizioni di lavoro decorose o il mero rispetto delle leggi locali e internazionali.

La guerra non serve alla pace, ma al mantenimento dei privilegi

Volendo rimanere su di un piano strettamente scientifico, ovvero indifferente al contenuto delle analisi, va detto che l’autore ci aiuta a ricordare che nel mondo tutto è rapporto di forze, ovvero che non si cambia il mondo con le sole idee: convinzione accettabile nella sua evidenza. Quello che non è accettabile è la retorica guerrafondaia di Carlo Jean, autore della Prefazione al volume, che con sofismi malamente riecheggianti il finale di Animal Farm, cerca di convincere il lettore che la nostra Costituzione non ripudia la guerra tout court, ma solo un certo tipo di guerra (quella di aggressione - cioè quella che noi italiani andiamo a fare all’estero); così come “spiega”, nel classico stile militaresco del “sono stati loro a incominciare”, che nel nostro attuale contesto geopolitico, a causa di «potenti forze esterne, straniere o antagoniste», è necessario prepararsi a proteggere meglio i cittadini italiani tramite «una migliore competitività [militare] del sistema-paese e un maggiore consenso interno dei cittadini». Cui aggiunge la gaffe: «non si tratta di manipolazione», dimentico che le scuse non richieste equivalgono a un’autoaccusa. In definitiva, le tesi di Gagliano possono convincere o meno e può piacere o meno il modo in cui il libro descrive la realtà. Quello che di certo non piace è il modo in cui vorrebbe che fosse: un luogo in cui, pur di conservare lo stato delle cose, si dev’essere pronti a tutto, a sospettare di tutti, a vedere ogni novità come un’azione sovversiva, ogni opportunità come un rischio, ogni proposta come un attacco frontale. A questa offerta di guerra civile permanente vorremmo dire oggi, secondo il vecchio slogan ecologista: “No, grazie”. Alla ragion di Stato, soprattutto quella militare, abbiamo già dato.

(«Il Caffè», 1 marzo 2013)

Paolo Calabrò

Filosofia e Noir

Madrelingua napoletano, vive a Caserta, dedicandosi alla famiglia, alla filosofia e, ovviamente, al noir. Gestisce il sito ufficiale di Maurice Bellet in italiano