La guerra non serve alla pace, ma al mantenimento dei privilegi
Volendo rimanere su di un piano strettamente scientifico, ovvero indifferente al contenuto delle analisi, va detto che l’autore ci aiuta a ricordare che nel mondo tutto è rapporto di forze, ovvero che non si cambia il mondo con le sole idee: convinzione accettabile nella sua evidenza. Quello che non è accettabile è la retorica guerrafondaia di Carlo Jean, autore della Prefazione al volume, che con sofismi malamente riecheggianti il finale di Animal Farm, cerca di convincere il lettore che la nostra Costituzione non ripudia la guerra tout court, ma solo un certo tipo di guerra (quella di aggressione - cioè quella che noi italiani andiamo a fare all’estero); così come “spiega”, nel classico stile militaresco del “sono stati loro a incominciare”, che nel nostro attuale contesto geopolitico, a causa di «potenti forze esterne, straniere o antagoniste», è necessario prepararsi a proteggere meglio i cittadini italiani tramite «una migliore competitività [militare] del sistema-paese e un maggiore consenso interno dei cittadini». Cui aggiunge la gaffe: «non si tratta di manipolazione», dimentico che le scuse non richieste equivalgono a un’autoaccusa. In definitiva, le tesi di Gagliano possono convincere o meno e può piacere o meno il modo in cui il libro descrive la realtà. Quello che di certo non piace è il modo in cui vorrebbe che fosse: un luogo in cui, pur di conservare lo stato delle cose, si dev’essere pronti a tutto, a sospettare di tutti, a vedere ogni novità come un’azione sovversiva, ogni opportunità come un rischio, ogni proposta come un attacco frontale. A questa offerta di guerra civile permanente vorremmo dire oggi, secondo il vecchio slogan ecologista: “No, grazie”. Alla ragion di Stato, soprattutto quella militare, abbiamo già dato.
(«Il Caffè», 1 marzo 2013)