Imprevedibilità che ha sempre affascinato l’umanità, per il passato dedita a ogni sorta di divinazione pur di impadronirsi di un pezzetto di inafferrabile futuro; ma che oggi assume una forma nuova e caratteristica, perché l’uomo non si accontenta più di conoscere il futuro e basta: vuole impadronirsene controllando, producendo, creando. Complice la tecnocrazia, la quale da un lato accelera tutte le cose fino a rendere fluida, appunto, la realtà; dall’altro promette all’uomo un potere sempre maggiore sulle cose, sugli eventi, sull’uomo stesso.
Queste sono storie ispirate a delle esistenze comuni, da cui trarre spunti per rivelare ed esporre una straordinarietà altrimenti difficile da cogliere.
Z. Bauman, Cose che abbiamo in comune, ed. Laterza, 2012
Bauman ricorda, da buon sociologo “pratico”, citando Gramsci, che il futuro (ma, in primo luogo, il presente) è nelle nostre mani e che bisogna avere il coraggio e a volte l’umiltà di partecipare, oltre alla lucidità di non rassegnarsi (a chi dice ad esempio che non c’è alternativa al capitalismo, non c’è alternativa al lavoro flessibile, non c’è alternativa al petrolio... sembra incredibile, ma c’è un sacco di gente che vive senza alternative, come se avesse inserito una specie di pilota automatico: mi figuro questi individui andare avanti a testa bassa, dopo che qualcuno gli abbia premuto un pulsante dietro la schiena, e loro non aspettano altro che... si scarichino le pile).
Insomma, per Bauman il mondo è imprevedibile ma non assurdo, e l’azione dell’uomo nel mondo ha un senso ed è possibile, forse necessaria. Ne riparleremo. Buon anno a tutti.
(«Il Caffè», 21 dicembre 2012)