Esistono persone che non riescono a disfarsi della roba vecchia, delle cose inutili, di nulla che sia passato anche per una sola volta per le loro mani: sono persone affette da una malattia mentale tecnicamente nota come disposofobia, che - per quanto incredibile possa sembrare - coinvolge dal 2 al 5% della popolazione.
Randy Frost e Gail Steketee, primi studiosi ad aver individuato la sindrome e a distinguerla da quella generica del disturbo ossessivo-compulsivo, raccontano in un "romanzo scientifico" dal titolo Tengo tutto. Perché non si riesce a buttare via niente (ed. Erickson, 2012). Le storie di tredici persone affette da disposofobia, a volte inconsapevoli, a volte determinate a negare risolutamente l'evidenza, spesso alle prese con le difficoltà del cercare in ogni modo di venirne fuori.
Il disturbo, che nasce come ricerca di un senso di sicurezza nei confronti dell'incertezza del futuro, già analizzato da Erich Fromm come tipico della nostra società votata all'accumulo e all'individualismo, non si presta a nessuna riduzione psicologica, psicanalitica o neurologica. Ogni caso è a sé - pur nei tanti tratti comuni - e le persone affette dal disturbo possono essere sotto ogni altro aspetto perfettamente "normali" e condurre una vita sociale, affettiva, personale tutt'affatto ricca e soddisfacente.
Sulla quale, tuttavia, la malattia non è mai ininfluente; anche quando affrontata con leggerezza e autoironia, la situazione rischia di precipitare il soggetto nella disperazione (e di trascinarvi i familiari e perfino i vicini di casa). Situazioni a tratti tragicomiche, di uomini e donne ridotti a vivere in un angolino della propria casa (perché tutto lo spazio è occupato da cataste indistinte di oggetti). Un libro suggestivo e ben scritto, che non teme di affrontare i dettagli più inquietanti (come la malattia nei bambini; o il caso sconvolgente dei fratelli Collyer, che apre il volume).
R.O. Frost e G.Steketee, Tengo tutto. Perché non si riesce a buttare via niente, ed. Erickson, 2012, pp. 270, euro 15,50.
(«Pagina3», 23 novembre 2012)
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