sabato 24 novembre 2012

Alternative energetiche

Si può decidere di risparmiare per tanti motivi. Perché lo ha stabilito il governo. Perché lo dicevano i nonni. Perché lo impongono l'etica protestante e lo spirito del capitalismo. Perché lo spreco fa ribollire il sangue e chi spreca ci pare un imbecille. Perché sembra assurdo che una civiltà che è arrivata su Marte non abbia ancora raggiunto l'efficienza energetica sulla terra. I motivi sono tanti e ognuno può trovare il suo; resta il fatto che “risparmiare” sia oggi una parola d'ordine per tutti (nonostante il fatto che i nostri politici continuino a parlare di crescita, cioè di maggiore consumo: qualcuno dovrebbe spiegargli che le due cose non vanno poi tanto d'accordo).


Non sempre “di più” o “avanti” significa meglio. Per progredire bisogna saper imparare da tutti i “migliori”

E “risparmio” oggi fa subito pensare all’energia. Perché, come ricorda Yona Friedman nel suo Alternative energetiche. Breviario dell’autosufficienza locale (ed. Bollati Boringhieri, 2012),
quando parliamo di consumo, di qualsiasi tipo esso sia, parliamo, che lo si voglia o no, di consumo di energia. Perché qualunque cosa noi facciamo necessita, in un modo o nell’altro, dell’impiego di energia.
Risparmiare energia è dunque paradigma e presupposto di ogni risparmio di risorse. Ma il vero problema odierno dell’energia - che ci ha condotti al punto da essere oggi costretti a risparmiarla - non è una semplice questione di tecnica (fare di più con meno energia), bensì una questione di organizzazione sociale: la nostra società è avida di energia perché ha scelto di produrre tramite un sistema industriale che lo richiede, ma che non è l’unico immaginabile né è indispensabile alla vita (e nemmeno al livello di comodità cui siamo abituati). Si tratta dunque di un problema intrinseco al nostro modo di concepire la produzione e l’utilizzo dell’energia e al nostro modo di percepirne l’esigenza: il primo passo da fare è allora cambiare la mentalità che ci porta a dire acriticamente che “più energia è meglio sempre” e che ci porta talvolta ad accettare di produrre più energia anche quando questo è pericoloso o malsano.
Il libro propone così un cambio di prospettiva, ma non risparmia né l’analisi delle piccole cose che possiamo fare per risparmiare energia tutti i giorni, né quella delle strategie energetiche possibili sul piano politico nazionale e internazionale, volte a venir fuori dalla continua minaccia della penuria di energia (il cui fantasma abbiamo visto agitarsi all’epoca del “rilancio nucleare” in Italia). Ma questo libro è anche una bella lezione di umiltà, sulla possibilità (e, vista la situazione, si direbbe sulla “necessità”) di imparare su questo argomento dalle tante civiltà non industriali che ci hanno preceduto (e che ancora perdurano sulla faccia della terra). Vivere “a bassa energia” si può e forse non è così male. Meglio cominciare a pensarci.

(«Il Caffè», 23 novembre 2012)

Paolo Calabrò

Filosofia e Noir

Madrelingua napoletano, vive a Caserta, dedicandosi alla famiglia, alla filosofia e, ovviamente, al noir. Gestisce il sito ufficiale di Maurice Bellet in italiano