
Qui ci soffermeremo brevemente su un altro aspetto: quello della violenza assoluta come virus che infetta gli individui e la società a partire dalla morale. Morale che nasce con il migliore degli scopi (quello di mettere ordine nei costumi onde sottrarre la vita dell’uomo all’arbitrio della brutalità omicida), ma che finisce per diventare nemica dell’uomo, sopprimendone la libertà e schiacciandolo sotto il peso di un dovere insostenibile. Virus che dunque non solo infetta quanto di migliore e di più necessario l’uomo abbia (senza morale non si può vivere: l’alternativa è il caos, dove ciascuno prende ciò che gli pare, anche se ciò che gli pare è la vita dell’altro) ma che per di più è “mutante”, come sa bene chi ha provato a sconfiggerlo: quando credi di averlo tolto di mezzo eccolo che ritorna per vie traverse, in forme nuove, sotto spoglie ancora mentite ma rinnovate. Nessuna teoria acquisita, nessuna prassi consolidata possono arginarlo: la violenza assoluta richiede una vigilanza costante, scaltra, infaticabile.
Non sono venuto a portare la pace è un libro che non si esagera a definire indispensabile, nella nostra epoca attraversata da ondate continue di fatalismo e da una perniciosa e diffusa rassegnazione allo stato di emergenza permanente dove tutto sembra inevitabile, anche la crisi economica. Ma è una menzogna: il destino dell’umanità è nelle nostre mani. Bellet lo ha capito bene. Lasciamo che lo spieghi anche a noi.
M. Bellet, Non sono venuto a portare la pace. Saggio sulla violenza assoluta, ed. Messaggero di Padova, 2012, pp. 160, euro 13.
(«Pagina3», 18 ottobre 2012)
