lunedì 29 ottobre 2012

A. Zhok, Emergentismo, ETS, 2011

La filosofia della scienza è a tutt’oggi (e da decenni) percorsa dallo scontro tra i riduzionisti (per i quali tutte le proprietà di ciò che esiste, anche le più complesse, sono - anzi, debbono essere - riconducibili alle proprietà più elementari della natura, cioè quelle degli oggetti infratomici) e gli emergentisti (per i quali, invece, la realtà sarebbe organizzata in livelli di complessità in parte indipendenti, ciascuno dei quali è essenzialmente irriducibile a qualunque altro livello e le cui proprietà peculiari emergono lì e non sono rintracciabili altrove).

I primi sembrerebbero aver dalla loro il buon senso: se nulla di materiale si aggiunge a un livello successivo, le proprietà di quel livello dovranno necessariamente essere riconducibili a quelle del precedente (a meno di interpretazioni spiritualistiche; del resto, come potrebbe la mera ‘organizzazione’ delle parti generare autonomamente proprietà che non siano intrinsecamente contenute nelle proprie componenti materiali fin dal più basso dei livelli?). I secondi, a loro volta, hanno dalla loro l’evidenza: sfidano i primi ad effettuare previsioni su sistemi complessi a partire dalla fisica elementare (quella, ad esempio, della meccanica quantistica), cosa assolutamente impossibile. Del resto, nessuno ad oggi sa, neppure approssimativamente - come ricondurre manifestazioni complesse (l’esempio tipico è quello della coscienza umana) a modelli semplici o addirittura fondamentali (cioè, ancora una volta, quelli della meccanica quantistica).
Tuttavia dopo un lungo periodo in cui l’emergentismo è rimasto ai margini del dibattito, oggi la bilancia sembra pendere a suo favore, con un numero sempre maggiore di fisici (non solo di filosofi della fisica) che ne prendono le parti in maniera perfino plateale (come nel caso di Robert Laughlin, premio Nobel per la fisica nel 1998, il quale ha scritto che “la scienza fisica ci dice che considerare l’intero essere come qualcosa di più della somma delle sue parti non è soltanto una teoria ma un fenomeno fisico”). Rende conto di questa situazione – peraltro non limitandosi all’ambito della filosofia della scienza, ma approfondendo la trattazione a cavallo tra ontologia ed etica, con una particolare attenzione alla cosiddetta “filosofia della mente” (Kim, Davidson, Searle, Dennett ecc.) –  lo studio di Andrea Zhok dal titolo Emergentismo (ed. ETS, 2011), del quale vorremmo dire subito che si tratta evidentemente di uno studio serio e meditato, scritto con uno stile chiaro che è tecnico senza essere inutilmente complicato (e che richiede perciò la giusta attenzione nella lettura), idealmente rivolto ad un pubblico informato (non solo epistemologicamente: lo si rileva ad esempio dalle tante citazioni in inglese non tradotte), cui offre un elevato grado di approfondimento teoretico (e una bibliografia quasi interamente in lingua, soprattutto a causa del fatto che il dibattito rimane al momento quasi del tutto anglofono).
Zhok parte dalle definizioni, ovvero dalla difficoltà di riunire nella categoria ‘teorie emergentiste’ scuole e correnti affatto eterogenee, le quali convergono tuttavia su un punto irrinunciabile: “tutte le teorie che possiamo chiamare ‘emergentiste’ sono accomunate da una simile strategia di risposta, prima ancora che da tesi particolari [:] il rifiuto (in modi e misure variabili) della riducibilità e l’affermazione di un emergere non arbitrario di proprità (relazioni, forze) nuove” (pp. 15-16). La non arbitrarietà dell’emergenza viene sottolineata fin dall’inizio: proprio per sgomberare subito il campo dalla paura dell’irrazionalismo che il riduzionismo (con la sua intuitività) ha tanto a lungo alimentato. Uno dei timori principali al riguardo è appunto quello dell’imprevedibilità assoluta delle proprietà emergenti (e del conseguente senso di smarrimento); è infatti chiaro che “se dovessimo concepire le proprietà emergenti come proprietà nuove ed imprevedibili in senso assoluto, cioè imprevedibili sempre e sotto ogni condizione, ciò equivarrebbe ad una completa inafferrabilità razionale: se di fronte al comporsi ed aggregarsi di parti in interi non fossimo mai in grado di prevedere, neppure probabilisticamente e neppure induttivamente, le proprietà che ne dovrebbero emergere, tale situazione sarebbe inquietantemente prossima ad una ‘creazione continua’” (p. 55). Ma l’emergentismo non teorizza alcuna creazione continua: non di meno, la natura manifesta ad ogni nuovo sguardo la capacità di sorprenderci con la sua novità: ecco che - a partire da due elementi altamente infiammabili, come l’idrogeno e l’ossigeno - viene fuori l’acqua, che possiede la proprietà imprevedibile e benvenuta di spegnere il fuoco.
D’altro canto, che certe proprietà siano relative all’organizzazione (o al contesto, che dir si voglia) e non siano, piuttosto, intrinseche (com’è caro al pensiero riduzionista), è sempre più evidente: l’autore cita ad esempio uno studio di Soto&Sonnenschein (2006) dal quale si rileva che “cellule embrionali trapiantate fuori posto in tessuti adulti (di topo o di rana) producevano neoplasie, laddove una volta ritrapiantate nell’embrione esse ritornavano alla normalità, sviluppandosi come cellule embrionali ordinarie” (p. 119n.), a testimonianza del fatto che proprietà ‘oncogene’ ritenute intrinseche non sono altro che il frutto di una specifica collocazione relazionale.
A ben vedere, sottolinea Zhok, il problema dell’emergentismo è antico quanto la filosofia: è il problema di dar conto del pluralismo fenomenico in tensione con un’ontologia monistica. Tuttavia l’autore rifugge da conclusioni semplicistiche e da generalizzazioni a buon mercato, concentrando l’attenzione sull’approfondimento di problemi specifici quali i rapporti mente-corpo, la agent causality, ecc. Una disputa, quella tra l’emergentismo e il naturalismo fisicalista, destinata a continuare nei prossimi anni, vivace e feconda.


Indice

Introduzione

I. Articolazione del problema

II. Riduzione o irriducibilità?
        1. Livelli ed elementi
        2. Riduzionismo classico e funzionale
        3. Monismo fisicalistico e irriducibilità della coscienza: Davidson, Searle, Dennett
        3.1. Il monismo anomalo di Davidson
        3.2. Il naturalismo biologico di Searle
        3.3. Il riduzionismo “moderato” di Dennett
        4. Irriducibilità come imprevedibilità: emergenti e risultanti

III. Causalità discendente ed efficacia delle proprietà emergenti
        1. La critica di Kim all’idea di proprietà emergente
        2. La realtà degli epifenomeni
        3. Sopravvenienza e proprietà relazionali
        4. Il problema dell’eredità causale
        5. Sulla chiusura causale del mondo fisico
        6. Sulla causalità discendente

IV. Conclusioni e prospettive
        1. Revisione e sintesi
        2. Senso e non-senso del riduzionismo fisicalistico
        3. L’Explanatory-gap e la congenerità di mente e materia
        4. Proprietà emergenti e “causalità dell’agente”
        5. Proprietà emergenti, spandrels ed exaptation

Bibliografia

(«ReF - Recensioni Filosofiche», 29 ottobre 2012)

Paolo Calabrò

Filosofia e Noir

Madrelingua napoletano, vive a Caserta, dedicandosi alla famiglia, alla filosofia e, ovviamente, al noir. Gestisce il sito ufficiale di Maurice Bellet in italiano