martedì 25 settembre 2012
Gianni Vacchelli recensisce Le cose si toccano di Paolo Calabrò
Le cose si toccano è un volumetto denso e prezioso per svariati motivi. Primo fra tutti, ci ricorda, con chiarezza e garbata insistenza, che un dialogo tra filosofia, religione e scienze moderne (ma dovremmo anche aggiungere letteratura, poesia, teologia, senza porre limiti alla convocazione delle discipline) è un kairòs, un'opportunità ineludibile del nostro tempo.
I rispettivi campi - per quello che possono valere queste distinzioni- devono entrare in comunicazione e già, in parte almeno, lo fanno, anche se la cultura dei media o meglio massmediatica, non se ne accorge.
I compartimenti stagni non hanno senso, tanto più oggi. I collegamenti e le corrispondenze ci sono e sono numerosi, pur senza fare di tutte le erbe un fascio. Insomma, ci rammenta l'autore, le cose si toccano. Anche con il nostro sguardo, con il nostro vedere, in attenzione.
Un altro motivo di interesse del libro è questo: sfatare la falsa interpretazione che il filosofo e teologo indo-catalano Raimon Panikkar sia un esotico mix di Oriente e Occidente, con tanto di rifiuto della scienza.
Panikkar non ha certo bisogno di apologie, ma, si sa, i luoghi comuni son sempre alle porte e la superficialità imperversa. Anche in questo Calabrò ci aiuta con competenza, chiarezza e senza mai semplificare troppo. Anzi, pur nello spirito di divulgazione che anima il libretto, il discorso è sempre articolato, dettagliato, con note utili, precise, molto attente e informate.
Panikkar insomma è tutto meno che "contro la scienza", specie se s'intenda l'affermazione in modo corrivo. Il lavoro del filosofo è molto più complesso: indaga il "mito" odierno della scienza, ne segna i limiti, critica ferocemente lo scientismo, il colonialismo anche linguistico che esso ci impone, riducendo le parole, che son simboli, a segni, termini.
Eppure mai Panikkar condanna l'avventura scientifica che invece gli appare essenziale, forse quasi costitutiva, se noi siamo anche (non solo!) logos. Piuttosto Panikkar ne denuncia il predominio, che è sempre pericoloso, di chiunque sia.
Con citazioni adeguate, Calabrò ci conduce a vedere invece profonde consonanze tra il pensiero panikkariano e le scienze moderne. Se Panikkar nelle sue opere, mette continuamente in discussione alcuni "miti" ancora dominanti nella percezione comune come l'oggettività della scienza, la natura inanimata della materia o l'esistenza della cosa in sé, eccolo in buona compagnia di tanti grandi scienziati della modernità o contemporanei: Bohr, Planck, Einstein, Heisenberg, Schrödinger per arrivare fino a Bohm o Prigogine.
Lo sguardo della scienza non è neutro né oggettivo: «la percezione è carica di teoria» (p. 29) né esiste «una qualche base osservativa neutrale» (p. 29). Così rispettivamente Thomas Khun e Paul Karl Feyerabend, non solo Raimon Panikkar! Se l'osservatore poi modifica il sistema osservato, come dovremmo tutti ricordarci bene, si può persino andare più in là: il pensiero modifica il pensato (pp. 116ss.).
La critica di Panikkar alla scienza, o meglio a una certa scienza, non è mai un romantico ritorno al passato ma va verso un nuovo mythos, che forse possiamo vedere solo a frammenti, in cui la scienza non sia scissa dalla metafisica e persino dalla teologia; la realtà è simbolica e il tutto è maggiore della somma delle parti.
Uno dei progetti più ambiziosi del grande filosofo è proprio quello di una teofisica, intuita, intravista e che forse è ancora in gran parte da costruire e da vivere.
Si potrebbero dire molte altre cose. Ne accenniamo una sola, percepibile fin dal sottotitolo. La scienza in sé, singolare, monolitica (monoteista, ci verrebbe da dire), non esiste. Il continente della scienza è plurale: esistono piuttosto scienze. La scienza moderna postgalileiana basata sull'accelerazione (e fortemente criticata da Panikkar) non è la scienza contemporanea. Del resto Einstein e Planck non sono conciliabili o "compatibili".
Dobbiamo abituarci a uno sguardo articolato, semplice e complesso insieme, variegato, pluri-versale. Un grande viaggio di trasformazione è in atto e ci attende. Non lo abbiamo tutto nelle scarpe, ma pure, senza di noi, non può farsi. Le cose si toccano...
(«Megliopossibile.com», settembre 2012)
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