lunedì 6 agosto 2012
Miti d’oggi
Non vorrei passare alla storia come ladro di titoli eccellenti, rubando oggi a Roland Barthes ciò che rubai al giovane Nietzsche tre anni fa nel dare vita a questa rubrica. Fortunatamente, in nessun caso passerò alla storia. Tuttavia, una storia mi piacerebbe raccontarvela lo stesso; mi darà l’agio di spiegare i motivi del mio furto letterario, nel parlarvi di uno dei più grandi miti di oggi: il mito dell’oggettività.
Qualche giorno fa sono stato in farmacia ad acquistare l’antistaminico che mi accompagna durante le primavere e le estati, da diversi anni a questa parte; oltre alle pillole per la pressione, che prendo invece tutto l’anno. Come sono ormai abituato a fare, chiedo i farmaci sostitutivi (o “generici”: cioè quelli contenenti lo stesso principio terapeutico attivo, ma prodotti da aziende diverse da quelle che li hanno inventati, in seguito alla scadenza dei brevetti). Il farmacista mi consegna l’antistaminico sostitutivo e il betabloccante originale. Gli domando se non disponga di un sotitutivo anche per quello. Mi risponde di sì, ma che che me lo sconsiglia.
In un lampo mi tornano alla mente scene di molti anni fa, quando i farmaci sostitutivi erano appena sbarcati in farmacia ed erano gli stessi farmacisti a consigliarli. Ricordo personalmente le facce sdegnate (ebbene sì, mi è capitato più di una volta) dei tanti banconisti cui domandavo - con il sospetto dell’incompetente - se fossero davvero equivalenti (se cioè potessi star tranquillo nell’assumerne). Sdegnate nel rispondermi: “ma certo, il principio attivo è lo stesso”.
Cosa succede dunque? Hanno cambiato idea? Mi sfugge qualcosa? O sono di fronte a una di quelle anomalie per cui certi pasticcieri sostengono che la nutella nei dolci sia più buona del cioccolato? Mi riprendo dallo smarrimento e chiedo spiegazioni. «Col tempo - mi dice - ci siamo resi conto che i farmaci “sostitutivi” non sono veramente “equivalenti”. A parità di principio attivo, infatti, contengono molte altre sostanze che possono rallentare o ridurre l’assimilazione del principio stesso da parte dell’organismo. Ecco perché assecondiamo la richiesta di sostitutivi nel caso di farmaci di scarsa rilevanza (come gli antistaminici), ma la scoraggiamo apertamente nei casi importanti (come in quello delle compresse per il controllo della pressione arteriosa)».
Questa è la situazione. Vengo a saperlo così, alla fine di un tardo pomeriggio afoso, parlottando amichevolmente con un uomo in camice bianco in una farmacia di Caserta. Come se non ne andasse della mia stessa vita (e di quelle di tutti: li chiamano “farmaci salva-vita”). Abbozzo in due parole una spiegazione (certamente parziale) di come il silenzio su questioni come queste venir tolletato e sembrare addirittura normale. Ecco la spiegazione: il mito della nostra epoca è quello dell’oggettività (e della “cosa in sé”), che ci fa credere di poter isolare la parte dal tutto distinguendo con chiarezza ciò che è importante da ciò che non lo è, tra ciò che è attivo e ciò che è inerte (e, andando avanti, tra ciò che è vivo e ciò che non lo è, tra il normale e l’anormale). Poi scopriamo che nessuna cosa è trascurabile (come invece ci dicevano le nostre equazioni) e che nulla può venir isolato dal proprio contesto (perché ciascuna cosa, in ogni istante, altera ed è alterata da ciò che la circonda). Nonostante questa evidenza, il mito è duro a morire: e così trattiamo i sostitutivi inefficaci come errori industriali, e manteniamo intatta la nostra visione del mondo (che ci fa illudere, ad esempio, di poter isolare il gene dell’egoismo, o la zona cerebrale dell’abulia) e la prassi che ne deriva.
Barthes mi perdoni. Ma l’oggettività e la cosa in sé sono proprio i miti di oggi.
(«Il Caffè», 27 luglio 2012)
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