8 giugno 2012. Da un mese (4 maggio) il Giappone ha spento tutti i suoi reattori nucleari in seguito alla tragedia di Fukushima di un anno fa. Quand’ecco che il primo ministro Yoshihiko Noda dichiara che è necessario riaprirne due (l’ordine è stato impartito il 18 giugno). In cosa consiste la “necessità”? Nella salvaguardia di una maggiore sicurezza? In una sopravvenuta, imprevedibile e improcrastinabile urgenza? Né l’una né l’altra. Lo stato di necessità è stato dichiarato sulla base dell’esigenza di “salvaguardare lo stile di vita dei cittadini”. Cioè, all’avvicinarsi dell’estate, l’esigenza di accendere i condizionatori dalla mattina alla sera.
Poi diciamo che i nostri politici sono scemi. Non che non lo siano, intendiamoci; ma il punto è che forse c’è qualcosa di più. Forse quella del Giappone e del suo illuminato esponente è una tendenza globale.
Quella tendenza che Serge Latouche, il celebre economista della “decrescita felice” (di cui abbiamo parlato diverse volte), stigmatizza nell’affermare che la situazione ambientale e climatica è tanto grave «perché le persone si preoccupano più del livello del loro benessere che di quello degli oceani». È sempre la stessa storia: non è che abbiamo bisogno di energia; semplicemente, la vogliamo. E per averla siamo disposti a ingoiare qualsiasi cosa: perfino i rapporti tecnici della Kansai Electric Power Company, che gestisce i due impianti e ne attesta “la piena sicurezza” (non ricorda anche a voi qualcosa? Quei rapporti forniti un annetto fa da un’altra azienda giapponese: la TEPCO?).
Siamo determinati a compiere ulteriori sforzi per ripristinare la fiducia della gente nella politica e nella sicurezza nucleare.
Yoshihiko Noda, premier giapponese
Non ci resta che constatare una volta di più quanto sia forte il legame fra la politica e l’economia nucleare: il nucleare giapponese riparte “per evitare che la penuria di energia possa ripercuotersi sull’intera economia facendola collassare”. C’è ancora qualcuno che crede a queste stupidaggini? In Giappone sono almeno in 7 milioni a non crederci: hanno raccolto le firme e le hanno presentate a Noda. Ma la lobby ha vinto. Verrà il turno dei popoli. Ma forse non saremo noi a farne la cronaca.
(«Il Caffè», 6 luglio 2012)
