
Nessuno di noi, senza dubbio. Queste cose (e tante altre loro pari) vengono ripetute da tutti fino al logorio. Sentiamo colleghi d’ufficio ripetercele senza averle capite, le hanno assorbite e basta. E ciò nonostante la realtà mostri esattamente il contrario. Perché la verità è che tutte quelle affermazioni sono false: si guardi ad esempio la situazione degli Stati Uniti, in cui basta una frasetta in corridoio per licenziare un dipendente (“You’re fired” - “Sei fuori”) e dove al contempo il prezzo della crisi finanziaria è stato il più alto al mondo; o la condizione della Germania, Paese da sempre leader nella minimizzazione della disoccupazione, nel quale la presenza dei sindacati nel governo è più forte che mai; o ancora il caso della Gran Bretagna, che all’epoca dell’onda thatcheriana ha conosciuto i più grandi sperperi e disservizi della propria storia.
La lotta di classe è oggi più devastante che mai. Ed è condotta proprio dalla classe dominante: quella dei capitalisti
L. Gallino e P. Borgna, La lotta di classe dopo la lotta di classe (ed. Laterza)
Perché allora è così difficile affermare l’evidenza, di fronte agli slogan d’apertura? Se lo domandano Luciano Gallino e Paola Borgna nel loro recente La lotta di classe dopo la lotta di classe (ed. Laterza), partendo proprio da uno di questi slogan, secondo il quale “la lotta di classe è finita perché viviamo ormai tutti in un mondo unico e senza classi”. Gli autori concludono - alla fine di un percorso ricco di informazioni, dati, statistiche, dettagli in cui Borgna, docente universitaria, intervista il celebre sociologo torinese dando vita a una riflessione compatta e feconda - che la lotta di classe esiste eccome, e che la propaganda volta a mascherarla è organizzata proprio da una delle classi in lotta: quella dominante, intenta a comprimere le condizioni di vita delle altre due (la classe operaia e la classe media) al fine di continuare a perseguire il suo unico obiettivo, l’accumulazione del capitale.
In una trattazione leggera e di disarmante chiarezza gli autori ci ricordano non solo che la lotta di classe è oggi più viva che mai, ma che lo scontro non si conduce fra entità economiche o parametri matematici (gli indici; lo spread), bensì fra la ricchezza dei primi e la sopravvivenza dei secondi. Tocca scegliere e combattere: nessuno può illudersi di rimanere al di fuori del conflitto. Nel mondo globale non esistono zone franche. Pensioni, stipendi, assegni, servizi: tutto vi è coinvolto. D’altro canto, a meno che non si voglia continuare a credere alla favola del capitalismo che porterà la ricchezza a tutti gli uomini (la Rivoluzione industriale risale a due secoli fa: non dovremmo già essere tutti straricchissimi?), è indispensabile che ne diventiamo finalmente e definitivamente consapevoli: per fare in modo che i ricchi diventino più ricchi, è necessario che i poveri diventino più poveri. Lo dicono in maniera velata o perfino contraddittoria, ma è di questo che stanno parlando. Dicono che “il lavoro non è un diritto” (ministro Fornero). Stanno parlando di questo.
(«Il Caffè», 13 luglio 2012; «l'Altrapagina», settembre 2012)
