lunedì 6 agosto 2012

La lotta di classe dopo la lotta di classe

I licenziamenti creano occupazione. I sindacati sono un residuo del secolo scorso. Il privato è più efficiente del pubblico. Qualcuno di voi sa farmi il nome di un politico, di un economista, di un quotidiano, di un intellettuale, di un sindacalista, di un qualunque personaggio da talk-show (di quelli che stanno sempre in televisione e nessuno sa per quale motivo) che non abbia pronunciato negli ultimi anni una di queste frasi? Qualcuno di voi ha mai sentito qualcosa di diverso dall’equazione marchionnesca “flessibilità=competitività”?

Nessuno di noi, senza dubbio. Queste cose (e tante altre loro pari) vengono ripetute da tutti fino al logorio. Sentiamo colleghi d’ufficio ripetercele senza averle capite, le hanno assorbite e basta. E ciò nonostante la realtà mostri esattamente il contrario. Perché la verità è che tutte quelle affermazioni sono false: si guardi ad esempio la situazione degli Stati Uniti, in cui basta una frasetta in corridoio per licenziare un dipendente (“You’re fired” - “Sei fuori”) e dove al contempo il prezzo della crisi finanziaria è stato il più alto al mondo; o la condizione della Germania, Paese da sempre leader nella minimizzazione della disoccupazione, nel quale la presenza dei sindacati nel governo è più forte che mai; o ancora il caso della Gran Bretagna, che all’epoca dell’onda thatcheriana ha conosciuto i più grandi sperperi e disservizi della propria storia.

La lotta di classe è oggi più devastante che mai. Ed è condotta proprio dalla classe dominante: quella dei capitalisti
L. Gallino e P. Borgna, La lotta di classe dopo la lotta di classe (ed. Laterza)

Perché allora è così difficile affermare l’evidenza, di fronte agli slogan d’apertura? Se lo domandano Luciano Gallino e Paola Borgna nel loro recente La lotta di classe dopo la lotta di classe (ed. Laterza), partendo proprio da uno di questi slogan, secondo il quale “la lotta di classe è finita perché viviamo ormai tutti in un mondo unico e senza classi”. Gli autori concludono - alla fine di un percorso ricco di informazioni, dati, statistiche, dettagli in cui Borgna, docente universitaria, intervista il celebre sociologo torinese dando vita a una riflessione compatta e feconda - che la lotta di classe esiste eccome, e che la propaganda volta a mascherarla è organizzata proprio da una delle classi in lotta: quella dominante, intenta a comprimere le condizioni di vita delle altre due (la classe operaia e la classe media) al fine di continuare a perseguire il suo unico obiettivo, l’accumulazione del capitale.
In una trattazione leggera e di disarmante chiarezza gli autori ci ricordano non solo che la lotta di classe è oggi più viva che mai, ma che lo scontro non si conduce fra entità economiche o parametri matematici (gli indici; lo spread), bensì fra la ricchezza dei primi e la sopravvivenza dei secondi. Tocca scegliere e combattere: nessuno può illudersi di rimanere al di fuori del conflitto. Nel mondo globale non esistono zone franche. Pensioni, stipendi, assegni, servizi: tutto vi è coinvolto. D’altro canto, a meno che non si voglia continuare a credere alla favola del capitalismo che porterà la ricchezza a tutti gli uomini (la Rivoluzione industriale risale a due secoli fa: non dovremmo già essere tutti straricchissimi?), è indispensabile che ne diventiamo finalmente e definitivamente consapevoli: per fare in modo che i ricchi diventino più ricchi, è necessario che i poveri diventino più poveri. Lo dicono in maniera velata o perfino contraddittoria, ma è di questo che stanno parlando. Dicono che “il lavoro non è un diritto” (ministro Fornero). Stanno parlando di questo.

(«Il Caffè», 13 luglio 2012; «l'Altrapagina», settembre 2012)

Paolo Calabrò

Filosofia e Noir

Madrelingua napoletano, vive a Caserta, dedicandosi alla famiglia, alla filosofia e, ovviamente, al noir. Gestisce il sito ufficiale di Maurice Bellet in italiano