Ospite a un convegno di filosofia (uno di quei posti in cui tipicamente quelli che parlano sono più di quelli che ascoltano), mi reco a San Gimgnano. Nell’InterCity càpito accanto a una in viaggio di lavoro che telefona: al suo capo; al cliente da cui sta andando; alla segretaria addetta alle prenotazioni; a un collega; alla baby-sitter; di nuovo al suo capo; a un amico; a un collega (un altro); a Giorgia (non so chi sia). A Roma sale uno dei due colleghi di prima, mi chiede il favore di cambiare posto per poter stare vicino a lei (e io già immagino una conversazione stucchevole e deprimente che mi spinge a ringraziare l’alta velocità - caso più unico che raro). Concesso, cambio posto. Lui si siede di fianco a lei e lei si rimette istantaneamente al telefono (che non mollerà praticamente piu); lui giochicchia col suo. Meno male, siamo a Firenze.
Sul regionale, prima di ripartire verso Siena, una donna sale con una certa fretta subito prima di me, entra nello scompartimento e vomita. È un attimo: la vedo scendere dal treno con la stessa concitazione come una ladra, senza guardare in faccia nessuno, senza chiedere aiuto.
San Gimignano è una rocca bellissima in cui ritornare. Ma la domenica non ci sono autobus per tornare alla stazione
Alla stazione di Poggibonsi il sottopasso è sporco come tutti i sottopassi: una porta di metallo, verniciata grossolanamente e abbondantemente arrugginita, con un buco al posto della serratura, è tenuta chiusa con una catena e un lucchetto (all’altro capo, un tassello a muro a momenti dal cadere). L’ascensore però funziona. Sono sceso a Poggibonsi (pur avendo tutto il tempo per andare a rivedere Siena) perché a Siena il deposito bagagli non c’è (lo dicono proprio sul sito FS: viva l’onestà. Poi, minutis minuendis, ci lamentiamo di Caserta): mi scocciava portarmi dietro la valigia. Ne approfitto per vedere con più calma San Gimignano: incantevole, tutta salite e discese da rompersi il fiato (e anche un paio di coronarie). Aria tersissima. Mangio divinamente in un ristorante del centro, poi faccio quattro passi. Un tale annaspa venendomi incontro e mi domanda se parlo italiano (poi mi chiede una moneta: la guarda, nel palmo della mano, e va via).
Alle 21, in piazza Duomo, un gruppo di una decina di bambini (tutti con degli strumenti musicali a tracolla: devono appena essere usciti da un corso, forse in cattedrale) parlotta ad alta voce, qualcuno corre. Li guardo mentre prendo una rampa fuori dalla piazza: in un battibaleno sono fuori dal centro, coprifuoco, silenzio assoluto, sono tentato di tornare indietro a vedere se c’è rimasto qualcuno. Sono le 21:05. Buonanotte a tutti.
(«Il Caffè», 25 maggio 2012)