sabato 3 marzo 2012

Mani bucate


Poi dicono la Pubblica Amminstrazione. Io non vorrei mettermene a fare l’elogio (del resto è noto che sono di parte), magari tacendo delle sue tante inettitudini. E nemmeno vorrei prendere posizione contro l’azienda privata (a sua volta spesso ingiustamente vituperata). Vorrei al contrario che questo eterno conflitto (che poi sovente è una guerra tra poveri) cessasse. E questo presuppone far piazza pulita di tanti luoghi comuni sull’una e sull’altra.
Uno dei peggiori è quello per il quale lo Stato non è che una zavorra (e un divoratore di risorse, in forma di tasse) e che, senza lo Stato, il mercato si autoregolerebbe e l’azienda privata starebbe molto meglio. Una teoria interessante (ancorché vecchia), ma falsa.
Perché la storia economica d’Italia ci mostra proprio l’opposto: ci mostra cioè uno Stato senza il cui sostegno l’azienda italiana sarebbe già crollata da decenni.


Questo libro racconta a chi finiscono i soldi che gli italiani versano allo Stato attraverso le tasse e che lo Stato usa per sostenere l’impresa privata.
M. Cobianchi, Mani bucate, ed. Chiarelettere,

È il risultato dello studio di Marco Cobianchi dal titolo Mani bucate (ed. Chiarelettere), condotto in gran parte presso gli archivi ministeriali, che ce lo spiega dati alla mano: secondo il Ministero per lo Sviluppo Economico, nel solo quinquennio 2003-2008
le imprese italiane agevolate con soldi pubblici sono state più di 840.000, mentre le leggi di incentivazione approvate sono state 1.307.
Non so se mi spiego. Ottocentoquarantamila imprese che hanno utilizzato soldi pubblici per i loro progetti (e i loro profitti) privati. La quasi totalità delle imprese: a occhio ce ne mancheranno cinque o sei. Ma fin qui direi niente di intrinsecamente riprovevole. Fino a che non si sfoderi la solita retorica (a questo punto ipocrita) dello Stato non solo superfluo, ma addirittura pernicioso. Fino a che non si neghi che il debito pubblico italiano (il quarto al mondo!) è in buona parte frutto di questi finanziamenti statali all’impresa privata. Si dice che l’assistenzialismo ai poveri, ai disabili, ai disoccupati, è un peso per la società; ma si tace del sostegno all’azienda privata.
Cobianchi, uomo di buon cuore, evidenzia a mo’ di attenuante che le sovvenzioni statali all’impresa privata sono una costante in tutto il mondo: servono a dare indirizzo alla politica economica, nessun governo ne è esente. Tuttavia, questo - invece di migliorarla - peggiora la situazione: perché vuol dire che l’impresa privata non può proprio esistere senza lo Stato, non solo di fatto, ma perfino di diritto (di conseguenza, dovremo riscrivere tutti i nostri manuali di economia. E anche i nostri giornali economici, a partire da quelli di Confindustria).
Ecco che la P.A. (quella che accumula, ripartisce ed eroga i finanziamenti pubblici all’impresa privata) non è più un ostacolo all’azienda, ma un partner commerciale indispensabile. I privati, conclude l’autore, sono i primi e principali statalisti. I più grandi fra gli illiberali, se liberalismo vuol dire rinuncia ai soldi dello Stato (cioè dei cittadini: perché il 70% delle entrate fiscali deriva dai redditi dei dipendenti, e solo per il 30% da quelli delle imprese). Non lo si dica per condannare l’ennesimo sperpero (che poi i soldi vengano mal utilizzati, o finiscano in una truffa, è un altro discorso - il libro parla anche di questo). Al contrario, lo si sottolinei per fare chiarezza su un punto importante: Stato significa proprio questo. Che ci si aiuta. Sia che di aiuto abbia bisogno il povero, sia che ne necessiti il capitano d’industria. Ci si aiuta e si va avanti tutti insieme, e non gli uni a sfavore degli altri. Vorremmo solo che lo si ricordasse, quando si dice che la crescita economica passa per l’abolizione dell’articolo 18.

(«Il Caffè» 2 marzo 2012)

Paolo Calabrò

Filosofia e Noir

Madrelingua napoletano, vive a Caserta, dedicandosi alla famiglia, alla filosofia e, ovviamente, al noir. Gestisce il sito ufficiale di Maurice Bellet in italiano