sabato 17 settembre 2011

L'inquietudine dell'Islam

All’indomani della strage di Oslo per opera del terrorista neonazista Breivik, mentre la caccia al colpevole è ancora aperta e le piste seguite molteplici, è un continuo fuoco di fila sull’Islam, il terrorismo islamico, la matrice islamica e via discorrendo. La paranoia è tale che il 25 luglio, quando tra l’altro è emerso già da un po’ che non di Islam si tratta ma di una strage di un uomo isolato della destra europea, il sito ufficiale del Popolo della Libertà pubblica in home page un intervento di Mario Mauro, capodelegazione del Partito Popolare Europeo, dal titolo “Il fondamentalismo islamico è un pericolo concreto”.

Insomma, niente di nuovo sotto il sole. Una volta era sempre colpa degli ebrei, poi dei comunisti, ora dei musulmani; pregiudizio difficile da sradicare, soprattutto per chi l’Islam da vicino lo conosce ancora ben poco, come gli italiani. Aiuta a far luce sulla realtà dell’Islam il volume collettivo curato da Annamaria Rivera dal titolo L’inquietudine dell’Islam (ed. Dedalo, 2002), che pur non recentissimo va consigliato per l’immediatezza dello stile e la varietà delle prospettive dalle quali il problema viene affrontato. Nel saggio introduttivo, ad esempio, vengono ripercorse le tappe dell’immaginario occidentale che, a cavallo dell’11 settembre 2001, hanno formato e consolidato lo stereotipo dello “scontro di civiltà”.

Non esiste nessuno scontro di civiltà. L’altro appare tanto più simile a noi quanto più lo guardiamo da vicino

Ne emerge un ritratto per il quale non è più possibile parlare “dell’Islam”, ma bisogna cominciare a parlare “degli Islam”, modi diversi di intendere il messaggio coranico che coesistono uno affianco all’altro, spesso nella stessa realtà nazionale. E ne emerge un’immagine del mondo musulmano più affine all’Occidente di quello che si potrebbe credere, permeata dalla battaglia delle donne verso l’emancipazione, dalla rapida industrializzazione e tecnologizzazione della società, dalle spinte dei ceti possidenti e privilegiati al mantenimento dello status quo e, viceversa, dal crescente desiderio di partecipazione degli esclusi.
Di particolare interesse gli ultimi due saggi: quello di Jocelyne Cesari, che esamina gli esiti e le prospettive del trapianto dell’Islam in Europa (attraverso l’esame della realtà francese, in questo molto più avanti di noi) e quello di Farhad Khosrokhavar, sulle ragioni che spingono i giovani maghrebini - oggi, nell’era della pubblicità globalizzata - a riscoprire la religione musulmana. Qualcosa da cui avremmo forse da imparare, se è vero che «per questi giovani alla ricerca di un senso, abbracciare la fede islamica significa raggiungere un equilibrio mentale insostituibile, quell’equilibrio che viene loro negato da una società in cui integrazione significa, nella migliore delle ipotesi, partecipare ai consumi». Chissà, magari una di queste mattine anche noi ci sveglieremo con la voglia di qualcosa di più sensato che il “dovere di consumare”; e allora, anche se difficilmente diventeremo musulmani, potremo finalmente ringraziare i nostri fratelli immigrati, per averci svelato che un modo diverso di vivere e immaginare la vita era a portata di mano, da chissà quanto tempo, e abbiamo mancato di afferrarlo perché eravamo troppo occupati a dichiaralo impossibile.

(«Il Caffè», 16 settembre 2011)

Paolo Calabrò

Filosofia e Noir

Madrelingua napoletano, vive a Caserta, dedicandosi alla famiglia, alla filosofia e, ovviamente, al noir. Gestisce il sito ufficiale di Maurice Bellet in italiano