domenica 17 ottobre 2010

Questioni da caffè

D’accordo, stracciamoci le vesti. La Direzione Distrettuale Antimafia ha arrestato per estorsione undici persone, presunti affiliati al clan Bidognetti, per aver costretto centinaia di titolari di bar e caffetterie (dell’agro aversano e del litorale domizio) ad acquistare una miscela di caffè da essi prodotta: il caffè “Nobis” (nome di uno degli arrestati).
Scandalizziamoci, e giustamente. Tuttavia, è una cosa che
sapevamo già. O meglio: che avremmo dovuto sapere. Perché la camorra investe e ricicla il denaro in tutti i traffici (come ricorda anche l’ipnotico Camorrista di Giuseppe Tornatore).

Vi prego, vi scongiuro, abbiate sempre la forza di indignarvi
Martin Luther King, epigrafe del libro L’ultima cena, di Peppe Ruggiero, ed. Ambiente

Ma soprattutto perché da molti anni Peppe Ruggiero, giornalista dell’“Unità” e di “Narcomafie”, documenta la penetrazione della criminalità organizzata nelle attività del settore agroalimentare. Studio che culmina nel suo recentissimo L’ultima cena. A tavola con i boss (ed. Ambiente, 2010). Nel quale scopriamo una camorra che non sequestra né uccide, che non è dedita ai tradizionali import/export di droga e d’armi ed è lontana dalle grandi storie di corruzione e appalti (camorra dell’iconografia standard, quella con la quale il cittadino medio pensa che non dovrà mai aver a che fare). Quella di cui leggiamo qui è invece la camorra che entra in casa di tutti, e piuttosto che “tagliare” l’eroina, “taglia” il caffè (pare che il “Nobis” fosse di pessima qualità, inutilizzabile perfino in abbinamento ad altre miscele), ci induce a mangiare mozzarella fatta con latte congelato, da bufale dopate, nutrite col foraggio di terreni inquinati dalla diossina. Ci troviamo spesso a tavola con i boss, e nemmeno ce ne rendiamo conto.
Le storie raccontate nel libro sono tante, riprese anche dal lavoro delle forze dell’ordine e della magistratura. Si legge del pane cotto abusivamente, bruciando legna di scarto trattata con vernici tossiche; del pesce e dei frutti di mare pescati e conservati con metodi illegali; il tutto con la connivenza dei commercianti la cui omertà permette alla malavita di installarsi su tutto il territorio. Per non parlare dei ristoranti aperti dalla camorra tramite prestanome (se ne contano circa 5.000), nei quali al guadagno dell’esercizio si somma quello dello smercio dei prodotti D.O.C. (“Di Origine Camorristica”, come vengono chiamati nel libro).
Il tutto mentre i “padrini” si nutrono di merce di prima scelta, affatto diversa da quella imposta agli esercenti sotto ricatto, facendosela recapitare perfino in carcere. Insomma, come spiega don Luigi Ciotti nella Prefazione, questo è un libro “difficile da digerire”: ma che non di meno va letto. Da tutti. Da tutti coloro che mangiano, bevono, fanno la spesa nelle nostre terre. Per poter conoscere che delle alternative esistono, come quella del “Commercio equo e solidale” o le produzioni di “Libera Terra”, unione di cooperative agricole sorte sui terreni confiscati alle mafie.
Quindi: si gridi pure allo scandalo, ce n’è motivo. Ma al momento riporrei le vesti: potrebbero ancora servirci. Anzi, credo che ben altre verità orripilanti affioreranno da questo enorme pantano. Tra ben poco ci verrà voglia di strapparcele di nuovo.

(«Il Caffè», 15 ottobre 2010)

Paolo Calabrò

Filosofia e Noir

Madrelingua napoletano, vive a Caserta, dedicandosi alla famiglia, alla filosofia e, ovviamente, al noir. Gestisce il sito ufficiale di Maurice Bellet in italiano