La più brutta esperienza che può capitarci nella vita è diventare invisibili agli occhi delle persone che amiamo e che pensiamo ci vogliano bene. I nostri figli vivono questa esperienza molto più spesso di quanto noi genitori pensiamo che possa accadere loro.Inizia così il libro per bambini Non mi vedi, papà? Una storia di magia e di magoni (ed. Erickson, 2010), di Alberto Pellai (con le bellissime illustrazioni di Tiziano Beber e un audiolibro allegato con CD).
Che è un libro per bambini, ma che si rivolge agli adulti per spiegare
a quanti “magoni” - spesso inconsapevolmente - esponiamo i nostri figli, quando li snobbiamo, quando li sminuiamo (magari con il crudele pretesto dell’esortarli a migliorarsi), o anche quando semplicemente ci dedichiamo poco a loro. La storia racconta di Carloroberto, un bambino di otto anni che “vede” suo padre quasi esclusivamente al telefono; un padre troppo esigente, che lavora troppo, “anche la domenica, invece di giocare con me”. E allora Carloroberto, un bel giorno, si nasconde nella lavatrice; così tutti si mettono a cercarlo, spaventati, e finalmente... sentono la sua mancanza.
D’altro canto, “essere un buon papà” è impresa tutt’altro che facile; questione affrontata da Tiziano Loschi nel suo Sei un buon papà? Consigli per diventarlo (ed. Erickson, 2010). Che parte dal dato di fatto della rivalutazione del ruolo paterno da parte della psicologia, dell’antropologia, della sociologia degli ultimi anni; ruolo ritenuto essenziale per l’equilibrio psico-sociale dei figli (in caso di assenza del padre si osservano infatti scarso rendimento scolastico, maggiore aggressività, blocco dell’emotività, ecc.).In definitiva, i due libri sono un invito a prestare maggiore attenzione a ciò che abbiamo di più caro al mondo: i nostri figli. Non esistono “ricette magiche”; ma la disattenzione, la superficialità, l’approssimazione, la frettolosità possono generare nei bambini, senza cher neanche ce ne accorgiamo, delle piccole grandi sofferenze. Da leggere con attenzione ma anche con leggerezza. Per ricordare che i bambini non sono diversi da noi (che, prima di crescere, eravamo come loro); semplicemente, essi vedono grandi delle cose che a noi sembrano piccole. Un dettaglio da non dimenticare.
(«Pagina3», 18 ottobre 2010)
