E il giovane contrae la leucemia. Dopodiché sporge denuncia. L’amministrazione militare sostiene
non esserci alcuna rapporto causale fra la malattia e il servizio svolto, ma le cose sembrerebbero stare diversamente. Ecco perché:
* nonostante l’assenza di statistiche probanti su questo punto, è consolidata la conoscenza della “sindrome dei Balcani”, quella sfilza di linfomi e tumori di vario genere tipica dei soldati di ritorno dalle missioni di guerra internazionali;
* la magistratura si è già pronunciata negli scorsi anni a favore di militari danti causa per esposizione all’uranio impoverito;
* a quanto pare, il servizio disposto dai superiori consisteva nello svuotamento di centinaia di sacchi contenenti “polveri non riconoscibili” e nel lavaggio e sverniciatura di mezzi corazzati (VM) provenienti da zone di guerra; operazioni effettuate non solo senza alcuna protezione, ma soprattutto senza che nessuno lo mettesse in guardia dal rischio (di cui evidentemente le gerarchie militari erano a conoscenza: se è vero che dopo solo tre settimane il ragazzo veniva convocato per ordine superiore per una serie di accertamenti medici, in seguito ai quali veniva subito spedito a casa in congedo).
A Bolzano, i superiori espongono un giovane militare casertano all’uranio impoverito, che gli provoca la leucemia.
E l’Esercito dice che non c’entra niente
E l’Esercito dice che non c’entra niente
Ecco un’altra di quelle brutte storie che si preferirebbe ignorare. Dove l’occultamento dell’informazione impera e miete vittime. Nell’epoca in cui si mandano droni a bombardare, si spediscono ragazzi incontro a radiazioni cancerogene. Svuotare sacchi pieni di polvere tossica, lavare e sverniciare mezzi contaminati: che modo stupido di ammalarsi. Ma stupido non è il giovane, inconsapevole nell’obbedienza. Né solo stupidi - ma criminali - vanno considerati quelli che ce l’hanno mandato, nella misura in cui conoscevano il pericolo.
In altri tempi si sarebbe detto: andateci voi - pomposi graduati - a lavare i mezzi sporchi di uranio radioattivo. Ma i tempi cambiano, e sicuramente qualcuno troverà opportuna la solita ributtante chiosa: “va be’, quello con l’indennizzo si è sistemato, c’è tanta gente che la leucemia se la prende gratis, può pure considerarsi fortunato”. I tempi sono maturi per un gran bel reality in cui i concorrenti si espongano ai paccheri del pubblico a oltranza; il primo che muore, vince. Ma a ben pensarci non avrebbe successo. Il format è banale. È troppo simile alla realtà.
(«Il Caffè», 22 ottobre 2010)