lunedì 26 ottobre 2009

L. Tussi, Sacro, ed. EMI, 2009

Il breve saggio di Laura Tussi dal titolo Sacro (ed. EMI, 2009) è dedicato, appunto, al sacro. Quella “cosa” che per il suo carattere sfuggente viene di solito definita per negazione, in opposizione al profano, come ciò che non è il quotidiano, il normale, l’usato. E tuttavia la ierofania (cioè la manifestazione del sacro) costituisce un paradosso: la differenziazione tra ciò che è sacro e ciò che non lo è avviene non solo nelle cose quotidiane, ma attraverso di esse:
nella manifestazione del sacro un oggetto qualsiasi diventa un’altra cosa, senza cessare di essere se stesso (p. 12),
spiega Tussi citando Mircea Eliade (autore di maggior riferimento per questo studio, il quale attinge non di meno a Emile Durkheim, Max Weber, Rodulf Otto nonché a studiosi più recenti, soprattutto italiani, tra cui Sabino Acquaviva, Franco Ferrarotti, Giovanni Filoramo). Il sacro non è folgorazione che sommerge la realtà, ma illuminazione della stessa realtà in una luce nuova: non è come un velo che ricopre ogni cosa, ma ciò che trasfigura ogni cosa facendola per così dire “emergere” dall’ordinaria quotidianità.
Quel che più conta nel sacro non è il concetto, ma l’esperienza. Esperienza che nelle nostre società occidentali moderne si scontra con due grossi ostacoli. Il primo è il predominio della mentalità strumentale e del pensiero astratto, che predilige il concetto (utensile creato per manipolare la natura) e conduce all’incapacità di aprirsi all’altro, stabilendo relazioni interpersonali profonde (primo indispensabile requisito per ogni esperienza personale genuina). Ma oltre che strumentale e astratta, la nostra cultura è anche urbana (e questo è il secondo ostacolo): moltissimi uomini vivono abitualmente lontani dalla natura, entrandovi in contatto solo nel fine settimana o per le vacanze e trattandola come uno strumento per riposarsi o per divertirsi. E invece la natura, nel suo essere così com’è, spontanea gratuita e misteriosa, è il primo trampolino verso l’esperienza del sacro, che è esperienza dell’essere-con, del legame di ogni cosa con ogni altra, dell’infinità solidarietà tra ogni essere (che accomuna molte tradizioni mistiche anche distanti, come il cristianesimo, l’induismo, l’islam).
L’autrice fa piazza pulita anche di alcuni equivoci: il sacro (che ha a che fare più con l’esperienza personale – ancorché mediata da quella comunitaria della cultura – e sovente con l’indicibile) non è tout court il religioso (che è basato su una componente pubblica e condivisa ben più ampia e su un apparato dottrinale che si offra alla trasmissione e alla tradizione). Inoltre, il sacro e il religioso hanno ben poco da spartire con il “magico”, che è più che altro un antenato della scienza, in quanto metodo per controllare i processi naturali e volgerli a proprio vantaggio:
anche se inferiore alla natura, l’uomo magico crede di aver scoperto alcuni strumenti per difendersene e per approfittarne: sono i sortilegi, parole e gesti che, per connessione accidentale o simbolica, sembrano possedere un influsso sulle forze benefiche o malefiche (p. 32).
I volumi della collana “Parole delle fedi” sono dedicati ciascuno a un singolo termine e concepiti come introduzione di carattere enciclopedico (con tanto di precisazioni lessicali ed etimologiche, ricostruzioni storiche ed ermeneutiche del concetto). Da “Acqua” a “Terra”, da “Lavoro” a “Laicità”, da “Pluralismo” a “Mito” (tra i più celebri: “Shoà” di Janina Bauman, moglie di Zygmunt e “Divinità” di Raimon Panikkar), cercano di adeguare il vocabolario religioso al mutato orizzonte dell’odierna interreligiosità. Con una introduzione alla collana di Brunetto Salvarani.

(«il Recensore.com», 26 ottobre 2009)

Paolo Calabrò

Filosofia e Noir

Madrelingua napoletano, vive a Caserta, dedicandosi alla famiglia, alla filosofia e, ovviamente, al noir. Gestisce il sito ufficiale di Maurice Bellet in italiano