Ma non è solo per allontanare quelle immagini. La mente umana rifiuta la disgrazia e ancor di più rifiuta la casualità; non si dà la caccia al colpevole solo per distrarsi, ma per trovare un’àncora, qualcosa cui aggrapparsi per poter dire a se stessi «non ricapiterà», «non mi capiterà».
Fare cose meno pericolose e fare meno cose pericolose.
Non ignoriamo la lezione del passato
Non ignoriamo la lezione del passato
Ma tant’è. Per quanti sforzi facciamo per negarlo a noi stessi, dicendoci che la tecnologia va perfezionata, che i computer non sbagliano mai e così via, la disgrazia, la fatalità, ci si impongono. E noi, inermi, non abbiamo che una carta da giocare contro il pericolo in marcia: rischiare di meno. Fare cose meno pericolose e fare meno cose pericolose. Poiché l’errore non può essere estirpato - al più delimitato, sempre in termini di statistica e di probabilità - meglio evitare di dedicarsi ad attività nelle quali il minimo errore - dell’uomo, della macchina, del caso - reca con sé automaticamente la tragedia: si pensi ad esempio all’energia atomica. A mio figlio, che ha due anni e adora arrampicarsi sulle sedie, non gliene compro di “sicure” e “certificate”: gli proibisco di salirvi. Mi si eccepirà che gli uomini del terzo millennio - e in particolare gli “esperti”, i dotti, gli scienziati - non sono bambini e che quindi gli si potrà perdonare il prometeismo tecnico, la smania di controllo e l’ossessione per la sicurezza. Ebbene, sia: purché non debba perdonare loro anche ciò che perdono a mio figlio: di ignorare la lezione del passato, di non riuscire mai a darsi un limite, di non imparare mai dai propri errori.
(«Il Caffè», 23 ottobre 2009)