Viareggio, 30 giugno 2009: un vagone merci carico di gpl si stacca dal convoglio, deraglia ed esplode. Decine di morti, altrettanti i feriti, interi palazzi rasi al suolo. C’è bisogno di distrarsi, di scacciare l’orrore dal cervello: e allora si comincia a cercare la causa del disastro, il dettaglio assassino, il responsabile. Ce la si prende con chi ha prodotto le carrozze, con chi le ha revisionate, con chi ha emesso la certificazione; è colpa dei tedeschi, no, dei polacchi, delle ferrovie italiane. Si va a caccia dell’“errore umano”, nella speranza di poter dire infine «si poteva evitare» e dunque, in certo modo, «non accadrà mai più».
Ma non è solo per allontanare quelle immagini. La mente umana rifiuta la disgrazia e ancor di più rifiuta la casualità; non si dà la caccia al colpevole solo per distrarsi, ma per trovare un’àncora, qualcosa cui aggrapparsi per poter dire a se stessi «non ricapiterà», «non mi capiterà».
Fare cose meno pericolose e fare meno cose pericolose.
Non ignoriamo la lezione del passato
Non ignoriamo la lezione del passato
Ma tant’è. Per quanti sforzi facciamo per negarlo a noi stessi, dicendoci che la tecnologia va perfezionata, che i computer non sbagliano mai e così via, la disgrazia, la fatalità, ci si impongono. E noi, inermi, non abbiamo che una carta da giocare contro il pericolo in marcia: rischiare di meno. Fare cose meno pericolose e fare meno cose pericolose. Poiché l’errore non può essere estirpato - al più delimitato, sempre in termini di statistica e di probabilità - meglio evitare di dedicarsi ad attività nelle quali il minimo errore - dell’uomo, della macchina, del caso - reca con sé automaticamente la tragedia: si pensi ad esempio all’energia atomica. A mio figlio, che ha due anni e adora arrampicarsi sulle sedie, non gliene compro di “sicure” e “certificate”: gli proibisco di salirvi. Mi si eccepirà che gli uomini del terzo millennio - e in particolare gli “esperti”, i dotti, gli scienziati - non sono bambini e che quindi gli si potrà perdonare il prometeismo tecnico, la smania di controllo e l’ossessione per la sicurezza. Ebbene, sia: purché non debba perdonare loro anche ciò che perdono a mio figlio: di ignorare la lezione del passato, di non riuscire mai a darsi un limite, di non imparare mai dai propri errori.
(«Il Caffè», 23 ottobre 2009)