Caserta 9 ottobre 2009. Davanti a un migliaio di persone, riunite nell'Auditorium della Provincia di via Ceccano, i filosofi Massimo Cacciari – docente di Estetica all'Università di Venezia e sindaco della stessa città – e Giuseppe Limone – ordinario di Filosofia Politica alla S.U.N. - si sono confrontati sul tema “Nomos Basileus: la legge sovrana”. All'evento, organizzato dalle edizioni casertane “Saletta dell'Uva” e dalla S.U.N., ha presenziato anche mons. Raffaele Nogaro, ex vescovo di Caserta, da sempre ispiratore di iniziative ed incontri a sfondo filosofico e politico.
Limone parte proprio dall'espressione Nomos Basileus, quella legge che non ha altra legge al di sopra di sé (come la intendeva Pindaro, che per primo l'ha utilizzata) e alla quale sottostanno tutte le leggi degli uomini, che non possono per questo né controllarla né manipolarla. Il Nomos Basileus è la legge che sta a monte di tutto ciò che è, è la fonte stessa dell'Essere (motivo per cui Limone preferisce “apertura” e “sorgente” alla parola “legge”, dal sapore più giuridico che ontologico). Con il cristianesimo, osserva il docente,
si ha un radicale cambio di prospettiva e il Nomos Basileus diventa quella norma che l'uomo riconosce in tutta la sua infinita autorità in quanto non può farne a meno: non più dunque come ciò che si impone da sé ed è perciò irrinunciabile, ma come ciò che si impone in quanto irrinunciabile per l'uomo. Rovesciamento che Limone individua nell'evangelico “non il sabato è per l'uomo, ma l'uomo per il sabato” (Mc 2,27). Nel discorso spicca la figura sofoclea di Antigone, che rivendica appunto la superiorità delle ragioni dell'Ade su quelle della legge del re Creonte.
Su questi temi, abbiamo rivolto qualche domanda al prof. Limone.
Lei dirige la collana “L’era di Antigone” per l’editore Franco Angeli. In che senso la nostra è l’era di Antigone?
Nel senso che in quest'epoca maturano diritti e doveri fondamentali in quanto radicati in ogni persona concreta vista nella sua singolarità e forza. Questa è un'esigenza insopprimibile che si pone nei confronti di qualsiasi ordinamento, giuridico, politico, filosofico, teoretico e non può essere metabolizzata da nessun sistema.
I diritti umani, oggi tanto al centro dell’attenzione, sono i diritti del singolo prima che dei gruppi. Ma ha veramente senso parlarne di fronte allo strapotere delle corporation transnazionali, che dispongono di bilanci superiori al PIL di interi stati e sono in grado di influenzare le politiche dei governi?
Il problema è di metodo, di stile di pensiero e di criterio di misura. Siamo in una fase in cui le grandi potenze o i grandi sistemi artificiali pretendono non soltanto di imporre le loro regole ma anche di imporre il criterio con cui si misura la regola. Tale criterio non va lasciato a loro, bensì alla possibilità della falsificazione popperiana di ognuno nella radicalità dei suoi bisogni e dei suoi compiti. Ci tengo a sottolineare che si tratta sia di bisogni sia di compiti, perché si tratta tanto di diritti fondamentali quanto di doveri fondamentali ovvero, in quanto tali, incancellabili, che non sono – come dicevo prima – metabolizzabili da nessun sistema perché l'uomo non è riducibile a ciò che ne pensiamo. L'uomo eccede sempre l'idea che abbiamo di esso.
Antigone è il simbolo di chi non si piega, di chi non rinuncia alla sua singolarità. Che vuol dire oggi mettere la persona al centro?
Antigone non combatte solo per il suo diritto di seppellire il fratello, ma per il suo dovere di farlo. Mettere la persona al centro non significa crearle un universo comodo in cui tutte le attrezzature siano alla sua portata, una specie di universo narcisistico. Si tratta invece di mettere al centro la persona dal punto di vista dei diritti e dei doveri, ossia come prospettiva di vita e come responsabilità. Significa in altri termini offrire all'uomo la possibilità di un inizio nuovo a partire dai suoi talenti, dalle sue possibilità, che vanno messe a disposizione di tutti, cioè donate. Proprio per questo, in primo luogo, esse vanno dunque accettate.
Sulla stessa linea Cacciari: il Nomos Basileus è ciò che sta “all'origine”, non nel senso inteso dai giuristi romani della potissima pars che prende il sopravvento sulle altre, bensì nel senso dell'ordine cosmico istituito da una donazione iniziale spontanea e gratuita. Nomos Basileus è ciò che i greci chiamavano anche agaton (e che i cristiani – come sempre traducendo e tradendo al contempo – chiamano “il Bene”), ciò il cui dono è sempre “eccedente” (ne è simbolo infatti il Sole, che instancabilmente diffonde i suoi raggi); perciò il Nomos Basileus è sempre arbor inversa, albero rovesciato: esso affonda cioè le sue radici nel cielo degli dei, non nella terra degli uomini. Legge superiore e non scritta deve ispirare ogni legge scritta dall'uomo: una legge umana che negasse o anche solo ignorasse quest'ordine primo sarebbe disastrosa per gli uomini. Non si persegue la giustizia assecondando le ragioni del gruppo più forte e numeroso, ma seguendo l'ordine intrinseco delle cose.
Anche al prof. Cacciari abbiamo rivolto alcune domande.
Nomos Basileus vs. diritto positivo: la modernità considera la tradizione un residuo d’altri tempi. Si può vivere di solo progresso?
Dipende da ciò che si intende per progresso. Progresso può anche voler dire affrontare temi come quello che abbiamo trattato oggi, ma soprattutto ha a che fare con la giustizia o meglio con l'ingiustizia che spesso viene commessa e sostenuta proprio in nome del progresso e della democrazia. Si dimentica troppo facilmente che il progresso non è il mero aumento del PIL.
C’è ancora spazio per Antigone nelle odierne democrazie rappresentative occidentali? Che valore hanno qui la singola volontà, il singolo esempio, il singolo voto?
Antigone rappresenta l'istanza di un nomos che è superiore, che eccede quello della città. Antigone è una di quelle figure cui dobbiamo continuamente richiamarci, perché non è con il voto che si stabilisce ciò che è giusto e ciò che è ingiusto. Il voto dà semplicemente una sistemazione provvisoria alla città, non “fa” la giustizia. Fare la giustizia è un altro paio di maniche.
“Distinguere senza separare” è uno dei suoi moniti più frequenti. In che modo possono oggi convivere politica e religione, fuori da ogni prevaricazione e da ogni assimilazione?
Basta che ognuna riconosca il proprio limite e la propria ragione d'essere. La dimensione religiosa deve tenere bene a mente che il suo regno non è di questo mondo, e che dunque non può regnare in questo mondo. Allo stesso modo, chi governa deve aver sempre presente che esiste una dimensione trascendente, ulteriore a quella politica. Solo a partire dal riconoscimento e dal rispetto dei reciproci ambiti può esservi dialogo. Chi ritiene di aver ragione non può dialogare con chi ha torto (secondo lui). Se io ritengo di possedere una potenza illimitata, non potrò accordarmi con la potenza degli altri.
Ha chiuso l'incontro mons. Nogaro il quale – dopo aver ringraziato il prof. Limone e la S.U.N. per l'impegno profuso – si è rallegrato della sua amicizia con Massimo Cacciari e ne ha sottolineato l'importanza – sul piano dell'approfondimento intellettuale, ma non di meno della “provocazione” spirituale – per la città di Caserta. Un'esperienza da ripetere.
(«Il Caffè», 16 ottobre 2009)