domenica 21 giugno 2009

R. Panikkar, Opera Omnia, vol. IX, tomo 1, ed. Jaca Book, 2008

Continua a tempo di record la pubblicazione dell’Opera omnia di Raimon Panikkar in italiano, per i tipi della Jaca Book. A maggio 2008 è stato presentato il primo volume, dedicato alla mistica come esperienza di vita; a novembre dello stesso anno, ecco la seconda uscita: il volume IX, tomo 1, dal titolo “Mito, simbolo, culto”.
A prima vista, il volume appare interessante per almeno due motivi: in primo luogo perché affronta in maniera esauriente il problema della conoscenza, del rapporto tra l’uomo e la realtà che lo circonda (argomento già affrontato direttamente da Panikkar nel caposaldo Mito, fede ed ermeneutica del 1979, ma qui ripreso e integrato con saggi in precedenza disseminati in varie riviste o raccolte, o non ancora tradotti in italiano); in secondo luogo perché traduce per la prima volta il consistente saggio di Panikkar sul culto, anch’esso del 1979 (qui proposto alle pp. 327-432), tema sul quale Panikkar si è di rado e frammentariamente pronunciato.
La nozione fondamentale di questo testo è quella di mito:
col termine mito oggi spesso s’intende qualcosa di irreale o semplicemente una leggenda più o meno fantastica. Con la parola mythos, invece, io intendo quello che tradizionalmente significava, vale a dire un modo diverso che gli uomini hanno di esprimere una convinzione, o piuttosto una verità che non è necessariamente “chiara e distinta” alla ragione e che, ciò nonostante, si accetta come ovvia e quindi non ha bisogno di essere dimostrata.
Senza mito non c’è pensiero: esso solo permette di evitare il regresso all’infinito nella ricerca del fondamento; più indietro non si può andare. Oltretutto, il mito – del quale si diventa consapevoli solamente nel corso dell’incontro con l’altro – rivela la fragilità di ogni aspirazione all’universalità. I miti dominanti di quest’epoca sono l’oggettività e la democrazia. La civiltà della nostra epoca ha soppiantato il mito della superiorità della razza bianca (che ha sostenuto la schiavitù istituzionalizzata in epoche non lontane: ed allora la cosa non sembrava tanto terribile ai più) con quello dell’uguaglianza di tutti gli uomini: la democrazia si fonda su questo. È cambiato il mito, ma non ci si è liberati del mito in quanto tale: liberarsi del mito è un’operazione impossibile. Che la realtà sia oggettiva, che una parte possa essere isolata dal resto cui è relazionata e considerata “di per sé”, che il tutto sia uguale alla somma delle parti, sono tutti miti. Un certo mito può essere più o meno condiviso (anche, al limite, da tutta l’umanità, in un dato momento storico) ma mai definitivo (non c’è infatti alcun modo di ottenerne una qualunque garanzia). Il dialogo tra le culture non è dunque una velleità da intellettuali curiosi, ma l’esigenza di civiltà che si riconoscono incomplete e aspirano perciò al reciproco arricchimento, alla comprensione dell’altro, alla convivenza armoniosa. Alla pace.
Il volume si giova della cura dello stesso autore, che firma anche l’editoriale introduttivo. Elegante e ben rifinito, nonché di grande spessore teoretico, questo libro merita certamente di far parte di ogni biblioteca di filosofia.

(«l'Altrapagina», giugno 2009)

Paolo Calabrò

Filosofia e Noir

Madrelingua napoletano, vive a Caserta, dedicandosi alla famiglia, alla filosofia e, ovviamente, al noir. Gestisce il sito ufficiale di Maurice Bellet in italiano