domenica 21 giugno 2009

Muri di diffidenza. Intervista a Franco Pittau, Coordinatore del Dossier statistico Immigrazione Caritas/Migrantes


La Caritas italiana, in collaborazione con la fondazione Migrantes, cura da diciotto anni il Dossier statistico sull’immigrazione, pubblicazione annuale che ha come scopo principale quello di fornire il numero di immigrati regolari presenti in Italia e una gran quantità di statistiche relative a tale presenza sul territorio italiano (la scheda di sintesi del rapporto n° XVIII del 2008 è visibile in internet presso il sito della Caritas). Abbiamo parlato dell’attuale situazione migratoria in Italia con Franco Pittau, Coordinatore del Dossier statistico Immigrazione Caritas/Migrantes.

La stampa estera guarda con preoccupazione alla direzione che l’Italia sta prendendo in materia di immigrazione (e anche alcuni organi internazionali, come ad esempio l’Alto Commissariato delle nazioni Unite per i Rifugiati o Medici senza Frontiere, mostrano di non condividere affatto la nuova politica migratoria italiana). Negare la stessa possibilità di richiedere asilo politico significa minare la solidarietà tra gli uomini, primi che tra i cittadini di Stati nazionali diversi. In che modo sta cambiando – insieme alla normativa – la percezione che abbiamo dell’“altro”? E in che modo cambia quella che l’immigrato ha di noi?
Stiamo attraversando una fase in cui è difficile conciliare la regolazione dei flussi migratori con il dovere di tutela dei richiedenti asilo. Ci troviamo in una situazione completamente diversa da quella del periodo della guerra fredda, quando a richiedere asilo in Italia erano i pochi che fuggivano dalla dittatura. Oggi la crisi porta a inquadrare con sospetto i “diversi”, anche se essi hanno ben poco a che spartire con le sue cause; inoltre, quella “straniera” è anche una presenza consistente, equiparabile e superiore ai flussi degli italiani che nell’immediato dopoguerra prendevano le vie dell’Oceano o si recavano negli altri Paesi europei. La dimensione quantitativa (che è anche il portato del processo di globalizzazione in atto, che rende più facile non solo la comunicazione e la conoscenza dell’Italia ma anche i mezzi per spostarsi) rende tutto più complesso. Questo va detto perché va compresa anche la posizione dei cittadini che fanno fatica a mostrarsi aperti in una situazione problematica, in cui tante cose sono cambiate, senza che essi abbiano avuto la possibilità di abituarsi ai nuovi scenari. Ciò non toglie che bisogna saper distinguere. Un richiedente asilo che sbarca è una persona da accogliere, la cui richiesta va rifiutata se non è motivata, ma accettata se è fondata. Sappiamo che non tutti sono richiedenti asilo e molti sono solo poveri diavoli che sfuggono a situazioni di miseria: bisogna avere la pazienza di distinguere e, per giunta, senza infischiarsene dei poveri diavoli ma pensando (questo non è certamente compito unicamente dell’Italia) anche a un aiuto per lo sviluppo delle terre di origine affinché, con il tempo, venga ridotta l’espulsione e si crei sviluppo in loco.

Passando dal mare alla terra: il “muro” sembra ergersi oggi come simbolo della contraddizione insuperata nel rapporto con gli altri. Si celebra la caduta di quello di Berlino, ma poi se ne innalzano di nuovi in Cisgiordania, alla frontiera del Messico, perfino in via Anelli a Padova. Da cosa si cerca di difendersi? Da quali pericoli reali, e da quali pericoli illusori? Si tratta di una soluzione efficace?
Le migrazioni, come grande fenomeno di massa, creano anche dei problemi: sarebbe inverosimile il contrario, soprattutto oggi che le cifre parlano di un raddoppio della popolazione immigrata nel volgere di 5-6 anni. I muri sono concreti, perché fatti di pietre e di cemento, ma inefficaci, perché non riescono a proteggerci da quello che riteniamo un pericolo; e il pericolo non è la diversità in sé, ma quella del diverso che si oppone a noi. Tra i 4 milioni di immigrati regolari che vivono in Italia vi sono membri di organizzazioni criminali, furfantelli “in proprio” e anche persone alle quali, per motivi culturali e più spesso religiosi, non importa nulla di noi, delle nostre abitudini e delle nostre leggi. Ma anche mettendo tutti questi insieme, si tratta di una minoranza. La stragrande maggioranza degli immigrati è invece formata da persone che amano l’Italia, ricercano il nostro apprezzamento, si vogliono adoperare per le nostre cause, sono disposte a partecipare e a dare il loro contributo. Se dai primi dobbiamo difenderci, dei secondi dobbiamo invece apprezzare l’apporto. Gli uomini di cultura, i politici e tutti coloro che sono chiamati a prendere decisioni pubbliche, devono avere questa capacità di discernimento.

Passando invece all’Italia dall’interno, la nostra legislazione oscilla di continuo tra una “tolleranza zero” e un’apertura caotica, che porta alla confusione e alla non gestibilità (ciò soprattutto a causa del cosiddetto “complesso di Penelope”, cioè la tendenza dello schieramento politico maggioritario a disfare quanto fatto in precedenza). Su quali pilastri dovrebbe fondarsi una corretta e sana politica migratoria nazionale?
Ritengo che stiamo passando dalla politica a pendolo (tra una grande apertura e la tolleranza zero), a una condivisione della chiusura. Direi che il pendolo si è fermato, ma sul negativo, e che le innovazioni legislative stiano cercando di introdurre nel nostro ordinamento tutto quello che è possibile senza contravvenire agli obblighi internazionali. Come onesti lettori dei numeri, i membri dell’équipe del Dossier Statistico Immigrazione cercano di far presente che, tutto sommato, a fronte di flussi che sono veramente consistenti vi è anche un eccezionale bisogno dell’Italia di poter disporre di quote supplementari di forza lavoro in maniera che lo sviluppo vada avanti (bisogno che sopravvivrà alla crisi). I cittadini vanno rettamente informati, affinché capiscano che l’Italia non può fare a meno di questo apporto (se gli immigrati abbandonassero il Paese sarebbe un enorme disastro) e che, in particolare, una sana politica di accoglienza costa molto meno di una rigida politica di espulsione.

I lavoratori regolari dell’ultimo triennio (2005-2007) sono un milione e mezzo circa. Si è soliti affermare che “gli immigrati rubano il lavoro agli italiani”, ma questo ritornello non può che riguardare – al più – chi lavora in nero. D’altro canto, i numeri parlano di più di 165.000 imprenditori stranieri e di un contributo degli immigrati al PIL del 9%: l’immigrato – spesso dipinto come qualcuno che approfitta dei vantaggi e dei servizi della nostra società senza dar nulla in cambio – sembra al contrario essere uno che “crea ricchezza”, spesso con meno diritti degli italiani. In che modo il pregiudizio resiste all’evidenza dei fatti, e come fare per superarlo?
Personalmente penso che il pregiudizio anti-immigrati, che ha attecchito anche in ambienti nei quali una volta era impossibile prevederne la diffusione, abbia alle sue origini cause ben precise. Le competizioni elettorali sono in parte anche una guerra contro lo straniero, senza peraltro che i partiti favorevoli riescano a risollevare la situazione con argomenti credibili e comprensibili. Alle persone va spiegato che l’immigrazione è un fenomeno irresistibile, cui dobbiamo abituarci. Allo stesso modo, va spiegato che l’immigrazione è stata il supporto allo sviluppo di tanti Paesi: perché non dovrebbe esserlo anche da noi? Mi pare una buona domanda.

Quali differenze possiamo osservare rispetto alla situazione nel 2007, così come documentata nel relativo Dossier? Quale trend riusciamo a scorgere per i prossimi anni? Che tipo di società diventerà quella italiana?
L’immigrazione è, per così dire, una dimensione che la storia ci impone per supplire alle nostre deficienze demografiche e occupazionali. Vediamo così che anche nel 2008 la popolazione immigrata è aumentata, nonostante in quell’anno sia iniziata la crisi economica. Questo aumento continuerà, anche grazie ai ricongiungimenti familiari e alle nuove nascite. La società italiana ha oggi la possibilità di aprirsi alla storia, riconoscendo la funzione dell’immigrazione e riuscendo a distinguere i tanti aspetti positivi da quelli negativi, che pure non mancano. Chi vuol seriamente bene all’Italia deve augurarsi che la futura politica sia improntata a questa capacità di discernimento. Da lì potranno derivare diversi effetti positivi, tra i quali l’apprezzamento culturale della diversità di cui qui non ho parlato e che è in realtà uno stimolo quanto mai suggestivo.

(«l'Altrapagina», giugno 2009)

Paolo Calabrò

Filosofia e Noir

Madrelingua napoletano, vive a Caserta, dedicandosi alla famiglia, alla filosofia e, ovviamente, al noir. Gestisce il sito ufficiale di Maurice Bellet in italiano