giovedì 16 aprile 2009
M. De Carolis, Il paradosso antropologico, ed. Quodlibet, 2008
È noto in biologia che ogni specie animale ha una propria “nicchia ecologica”, ovvero l’insieme ridotto di elementi biologicamente rilevanti per quella specie (l’ombra di un predatore, il disegno sul manto del conspecifico di sesso opposto e così via), rigido e immutabile, necessario a indirizzare il comportamento ai fini della sopravvivenza o della riproduzione. Dal canto suo, l’uomo appare privo di una nicchia prescritta geneticamente, ma in grado di costruirsene una, di tipo culturale: «La condizione umana [è] segnata nel profondo dall’intreccio paradossale tra due istanze antitetiche eppure inscindibili l’una dall’altra: quella di esporsi all’infinita contingenza cui dà accesso la nostra costituzione biologica, per sfruttarne le straordinarie potenzialità creative; e, viceversa, quella di proteggersi dall’incertezza e dal pericolo connessi a questa contingenza illimitata, ritagliando una sfera circoscritta di norme e valori simbolici, una specie di nicchia culturale, nettamente distinta dal resto del mondo e contrapposta alla moltiplicazione indefinita delle possibilità» (p. 8).
Il paradosso antropologico in cui l’uomo si trova a vivere è dunque un processo dialettico sempre in itinere i cui termini sono, da un lato, la costruzione
incessante di nicchie che possano ricondurre il mondo dell’esperienza – altrimenti troppo ampio, impossibile da accogliere in blocco – a un sistema ordinato; dall’altro, l’attenzione verso stimoli sempre nuovi, offerti da un mondo che inesausto si ripropone all’uomo, il cui accoglimento richiede una continua riforma delle nicchie già presenti, in un circolo nel quale le due istanze di alimentano a vicenda. L’uomo si mostra qui sensibile a una gamma di stimoli biologici talmente ampia da far pensare che sia “aperto al mondo”; l’incessante attività di riforma del proprio orizzonte esistenziale (nicchia) fa dell’uomo un “formatore di mondo”.
Questo “dar forma al mondo” ha evidentemente sia un aspetto sociale sia un aspetto individuale. Sul piano sociale, permette di raffigurare il mondo contemporaneo come mondo di nicchie: nell’epoca della globalizzazione e della società liquida (Bauman) e pluralistica, dove non è più possibile ancorarsi a ideologie e visioni del mondo onnicomprensive, universalmente condivise e tanto meno eterne, non resta all’uomo che accontentarsi della propria personale visione, necessariamente parziale, delle cose. Questo processo rischia spesso di sfociare nella dissociazione psichica (piano individuale), che non a caso è uno dei disturbi più diffusi di quest’epoca: laddove la realtà non è più gerarchicamente ordinata (ciò che in passato permetteva a ciascuno, ovunque fosse collocato nella gerarchia, di avere come riferimenti fissi l’alto e il basso, e la gerarchia tutta come un intero dotato di senso), bensì “orizzontale”, si possono avere delle “scissioni verticali”, nella psiche, cioè ambiti di comportamento e convincimento reciprocamente contraddittori che il soggetto applica a zone diverse di una realtà compartimentata.
Nella sfera politica, nella quale coesistono e possono armonizzarsi le istanze individuali e quelle sociali, l’attuale mondo di nicchie può ambire a recuperare una certa omogeneità (senza che ciò implichi la cessazione dell’attività di formazione delle nicchie: tale attività è costitutiva dell’“animale uomo”, ineliminabile dalla sua costituzione biologica), offrendo al contempo agli individui – tramite l’azione collettiva di una formazione del mondo chiaramente e dichiaratamente orientata – la possibilità di ritrovare una collocazione al proprio essere nel mondo. Per contro, l’abdicazione della politica a questo suo ruolo fondamentale e insostituibile, provocherà l’occupazione di questo spazio da parte della potenza onnipervasiva del mercato, che precipiterà l’umanità in una desolante e gelida “assenza di mondo”, nella quale ogni umana aspirazione a “vivere bene” sarà soppiantata da quella animalesca a “vivere e basta”.
Lo stile di De Carolis è piano e al contempo coinvolgente, soprattutto per le continue incursioni in ambito psicanalitico, antropologico, filosofico. Dal libro trapela l’immagine di un autore che nutre uno sdegno implacabile nei confronti di una macchina sociale che sempre più tende a privare l’umanità della sua dignità e della sua potenza, ma anche di una persona che – consapevole della portata dell’obiettivo – non ha perso la speranza in un mondo migliore e soprattutto in colui che può e deve costruirlo: perché la speranza non è nel futuro, ma nell’uomo.
(«Filosofia.it» online, ISSN 1722-9782, febbraio 2009)
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