giovedì 16 aprile 2009
I. Illich, Elogio della bicicletta, ed. Bollati Boringhieri, 2006
Elogio della bicicletta è il titolo italiano di un lungo articolo pubblicato da Illich su «Le Monde» nel 1973, in francese Energie et équité. Il titolo originale mette in risalto il tema portante di questo saggio, il rapporto tra l’energia che una certa società decide di utilizzare e il grado di equità tra i suoi membri che la stessa società potrà garantire: «solo stabilendo un tetto all’uso di energia si possono ottenere rapporti sociali che siano contraddistinti da alti livelli di equità. [...] La democrazia partecipativa postula una tecnologia a basso livello energetico» (pp. 9-10).
In contrasto con la visione dominante (allora come oggi), per la quale il progresso industriale e tecnologico può essere infinito e recare all’umanità benefìci sempre maggiori, Illich enuncia la sua tesi senza mezzi termini e fin dall’inizio: «ciò che in genere si perde di vista è che l’equità e l’energia possono crescere parallelamente solo sino a un certo punto. Al di sotto di una certa soglia di watt pro capite, i motori forniscono condizioni migliori per il progresso sociale. Al di sopra di quella soglia, l’energia cresce a spese dell’equità» (p. 10).
L’Autore si dedica all’analisi del sistema dei trasporti, in quanto caso particolare di un discorso più ampio sul tema generale dell’impiego socialmente ottimale dell’energia (che si proponeva di approfondire in opere successive, ma ciò non avvenne: cfr. p. 20n.), nella prospettiva dell’ottimizzazione del rapporto fra l’uso dell’energia ed il conseguente modificarsi delle relazioni tra gli uomini (e non solo della massimizzazione di certi parametri economici, su di un piano meramente quantitativo). Illich giunge ad individuare in una tecnologia razionale, a basso consumo energetico, una condizione di equilibrio di questo rapporto: «la democrazia partecipativa richiede una tecnologia a basso consumo energetico, e gli uomini liberi possono percorrere la strada che conduce a relazioni sociali produttive solo alla velocità di una bicicletta» (p. 20; considerazione da cui discende l’accattivante titolo italiano).
È necessario dunque individuare con precisione (e ciò è possibile «per via teorica») il valore critico oltre la cui soglia l’aumento di energia diviene controproduttivo, nocivo per le relazioni umane e addirittura contrario agli stessi fini originariamente prefissi. Soglia oltre la quale non può che crescere la disuguaglianza. Questo perché, contrariamente a quanto propagandato dalla pubblicità e dalla politica, non c’è affatto “tecnologia a volontà” per tutti, ma soltanto la frattura tra quella esigua minoranza che può permettersi l’ultimo ritrovato e la stragrande maggioranza che ne paga il costo sociale. Per farne un esempio, una volta che sia possibile “dare un’automobile a tutti” (obiettivo che fu di Hitler e della sua Volkswagen; Illich ci tiene a sottolineare che la fiducia incondizionata nei vantaggi del progresso illimitato non è prerogativa del liberalismo, ma appartiene anche al marxismo e in definitiva a tutta la mentalità occidentale, di destra come di sinistra), si creerà – senza poterlo risolvere – il problema dell’ingorgo stradale: che, come nota giustamente Franco La Cecla nel saggio che chiude il volume, non è un epifenomeno del sistema della mobilità individuale, ma la sua stessa essenza. Traffico al quale la maggioranza non potrà più sfuggire; a quel punto, finalmente, la tecnologia inventerà gli elicotteri: ma saranno pochissimi a trarne vantaggio. Situazione che rende comprensibile l’immagine dell’automobile grande, veloce e potente come status symbol, a cui ben si addice lo slogan: «Dimmi a che velocità vai e ti dirò chi sei» (p. 35).
Ecco che l’industria del trasporto, concepita per offrire al cittadino un servizio vòlto a migliorarne le condizioni di vita, istituisce invece quello che Illich chiama monopolio radicale: «un’industria esercita questo tipo di monopolio quando diventa il mezzo dominante per soddisfare bisogni che in precedenza davano luogo a una risposta personale» (p. 44). Invece di acquisire una capacità ulteriore il cittadino si ritrova ad acquisire un bisogno ulteriore, quello di spostarsi, che prima non aveva e al quale adesso non può sottrarsi, perché il mondo intorno a lui si è trasformato secondo i dettami della tecnologia.
«Oltre un certo punto, più energia significa meno equità», sintetizza Illich (p. 37), ovvero: per ogni cosa c’è una giusta misura, oltre la quale la cosa stessa diventa eccessiva. La perdita di questo senso dell’eccessivo da parte della società occidentale la rende cieca di fronte al fatto che un impiego massiccio della tecnologia industriale (ovvero dell’energia) conduce alla degradazione sia dell’ambiente sia delle relazioni sociali. È sul piano politico che la società deve decidere di darsi un contegno sobrio (e non miserabile, come spesso si cerca di far apparire ogni proposta di decrescita); affidare al mercato la scelta fra alto e basso consumo di energia vuol dire misconoscere la ricaduta sociale della tecnologia e, soprattutto, vuol dire foraggiare lo sviluppo di una società sempre più iniqua.
(«Filosofia.it» online, ISSN 1722-9782, febbraio 2009)
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