20 luglio 1812: è festa nella città di Teplitz, dove sta per celebrarsi un matrimonio e le campane della chiesa di san Giovanni Battista, nella piazza del Castello, non smettono di suonare. L’argomento del giorno è l’invasione della Russia da parte di Napoleone; ma qui, in Boemia, non si pensa ad altro che al tepore della giornata appena iniziata e al relax delle rinomate terme… Il re guarda il mondo dalla finestra: per quanto sia solo una fetta indicibilmente piccola di tutto cio che è, è la sua fetta, come sua è ogni cosa che vi è contenuta e che il suo occhio riesce a raggiungere, come le stelle del cielo che si vedono a dispetto dell’oscurità dell’aria e della mente, annebbiata dal vino che ha appena bevuto… Per i passeri è difficile nutrirsi: l’inverno è stato rigido e la battaglia fra di loro per accaparrarsi le prime briciole che emergono dalla neve che inizia a sciogliersi si annuncia aspra. E in effetti una quindicina di loro non ce l’ha fatta: i loro minuscoli corpi si trovano al suolo, privi di vita… Ai tempi dei bizantini, Petilia Policastro era una rocca, che aveva visto fiorire, nel Seicento, splendidi palazzi; ma ora non ne rimane che un cumulo di case mal messe, che solo la nostalgia tiene ancora in piedi...
Cinque racconti (“L’incidente di Teplitz”, “Il cetorino”, “Le nevi dell’altro anno”, “La Sila”, oltre a quello che dà il titolo al volume) di lunghezza e ambientazione diverse - pur ruotando in qualche modo sempre intorno a Napoli - dal primo 1400 all’ultimo ’800. Storie che destano, sì, qualche interesse, foss’anche solo per le ricostruzioni storiche dello sfondo; ma che non sempre sono accompagnate da vicende avvincenti. Se da un lato il tono fiabesco che fa capolino durante l’intera narrazione, ora più ora meno, si fa notare piacevolmente, il ritmo è smorzato da uno stile complessivo che sembrerebbe aver ancora bisogno di un’adeguata maturazione. Alcuni dettagli possono far incespicare il lettore, rendendo defatigante il suo sforzo: come certe parole ripetute (in un solo capoverso c’è 4 volte “luce”, e la stessa parola ricorre nel seguito del testo innumerevoli volte: il che getta un po’ d’ombra sull’accuratezza dell’editing; similmente “neve”, “niveo”, “nevicata” a p. 115): particolarmente infelice il passaggio d’apertura dei capoversi delle pagine 107-108, con “Il re grugnì”, “Il re annuì”, “Il re scricchiolò”, “Il re riappoggiò”, “Il re corrugò”. Seri dubbi andrebbero avanzati infine sull’uso del francese, che può lasciare perplessi in più di un punto. Insomma, una maggiore sedimentazione (e una ulteriore revisione) del testo avrebbero giovato a delle idee non banali. Pubblicato con il patrocinio morale di AISLA (Associazione Italiana Sclerosi Laterale Amiotrofica), cui viene devoluta parte dei proventi.
Stefano Cortese, Il basilisco o della speranza, ed. La strada per Babilonia, 2017.
(«Mangialibri», 15 maggio 2017)
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