“Fare teatro vuol dire vivere sul serio quello che la maggior parte della gente, di solito, recita male”. Il celebre aforisma di Eduardo De Filippo porta alla luce immediatamente la contraddizione insita nel ruolo dell’attore: l’ambiguità intrinseca connotata, da un lato, dal doversi calare una maschera sul volto per interpretare vite diverse dalla propria; dall’altro dall’autenticità di una forma d’arte – il teatro, appunto – che sola riesce a portare alla luce le radici più profonde e nascoste delle cose – azioni, pensieri, emozioni – che nutrono l’esistenza. È la stessa contraddizione di fondo della condizione umana: la quale ha bisogno, allo stesso tempo, tanto che l’individuo possa svilupparsi nel fertile silenzio della solitudine, quanto delle relazioni della persona con gli altri, ciascuna caratterizzata da un diverso approccio, un diverso intendimento, un diverso modo d’essere. Considerazioni che pongono contestualmente sia la domanda su dove si trovi la verità del soggetto, sia quella radicale sulla libertà dello stesso: quand’è che la persona è veramente libera? Nella clausura della propria interiorità senza vincoli, o nell’ambito delle costrizioni creategli dai suoi legami sociali?
Vito Mancuso, pensatore che non ha bisogno di presentazioni, di cui abbiamo già parlato volentieri, offre al pubblico una nuova riflessione, nel suo stile tipicamente a cavallo fra quello scientifico e quello divulgativo, rigoroso per necessità, rivolto a tutti per vocazione. Che oltretutto coniuga, come sempre, la speculazione classica della filosofia (a trecentosessanta gradi: dalla dialettica alla teodicea, dalla riflessione sul male a quella sul nichilismo) e quella sapienziale della teologia, con la lezione più recente delle scienze positive, in un intreccio salutare – organico e mai sincretico – scevro da secondi fini quanto dal bisogno di appartenenza (visibili in filigrana in tanta saggistica di settore). Una lettura che porta avanti la strada tracciata dall’autore con le sue tante opere precedenti – al cui fondo c’è la consapevolezza che l’uomo ha di sé, che dovrebbe avere di sé, che aspira ad avere di sé – che induce il lettore (quasi si vorrebbe dire: “lo costringe”) a interrogarsi non sulla verità estrinseca di testi e opinioni autorevoli, ma su quella attuale della propria esperienza di sé e dell’incontro con la realtà. Un libro che, come ogni cosa buona, sa nutrire con la propria genuinità. Consigliato a tutti.
* Vito Mancuso è un teologo italiano. È stato docente di Teologia moderna e contemporanea presso la Facoltà di Filosofia dell’Università San Raffaele di Milano dal 2004 al 2011. I suoi scritti hanno suscitato notevole attenzione da parte del pubblico, in particolare L’anima e il suo destino (Raffaello Cortina, 2007), Io e Dio. Una guida dei perplessi (Garzanti, 2011), Il principio passione. La forza che ci spinge ad amare (Garzanti 2013), Dio e il suo destino (Garzanti 2015), quattro bestseller da oltre centomila copie con traduzioni in altre lingue e una poderosa rassegna stampa, radiofonica e televisiva. Il suo pensiero è oggetto di discussioni e polemiche per le posizioni non sempre allineate con le gerarchie ecclesiastiche, sia in campo etico sia in campo strettamente dogmatico. Dal 2009 è editorialista del quotidiano “la Repubblica”. Dal 2013 al 2014 è stato docente di "Storia delle dottrine Teologiche" presso l'Università degli Studi di Padova.
Vito Mancuso, Il coraggio di essere liberi, ed. Garzanti, 2016.
(«Filosofia e nuovi sentieri», 7 dicembre 2016)
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