
Parigi come essenza inquieta, multiforme, inafferrabile e irriducibile; il nomadismo come condizione e come aspirazione (o come frustrazione) per l’uomo moderno. L’altrove quotidiano, breve raccolta di 2 racconti lunghi (il secondo è omonimo; l’altro è “Promenades 1990”) è un libro in cui, tecnicamente, non succede niente: nessuna storia viene raccontata, nessun personaggio emerge e si staglia sullo sfondo. Il racconto, in forma di brevi paragrafi, cerca di rendere l’impressione del movimento attraverso la ripresa di scorci continuamente interrotti e rimontati, che possono anche non dispiacere - il linguaggio è interessante e si nota la cura riposta dall’autore - ma che di fatto, come dire, non vanno da nessuna parte. Un tipo di scrittura che vince la prova dell’audacia ma perde la sfida se accostato a predecessori illustri come Le città invisibili: qui, a differenza che in Calvino, non si intravede nessuna logica costitutiva e, soprattutto, nessuno scopo. «La spiaggia deserta. Gli ombrelloni chiusi sono pali d’ormeggio per imbarcazioni pronte ad affiorare dall’oscurità di un cielo senza orizzonte. Quando la brezza notturna è un alito fresco che sfiora i capelli, ti sembra di afferrare il senso profondo dello spettacolo e ti compiaci dell’estraneità, di quella lontananza che accomuna tempi e luoghi, confusamente. Dove si perde la consistenza delle cose, ogni luogo è pronto a trasformarsi nel ricordo, nella parodia di se stesso»: insomma, può anche non dispiacere, ma è dura da seguire per pagine e pagine. Una lettura letteralmente “diversa”, non premiata da un’edizione digitale in cui manca perfino il colophon.
Stefano Iatosti, L’altrove quotidiano, ed. Enzo Delfino, 2016.
(«Mangialibri», 28 giugno 2016)
