“La salvezza viene dall’oriente”, dice il vangelo. Quello cristiano. Scandalo, pericolo, errore di interpretazione? Forse sì, per certi europei delle radici e dell’identità cristiane. Ma si tratta, banalmente, di un vuoto di memoria: il cristianesimo non nasce in Europa (dove è stato poi importato), bensì in oriente, in quell’oriente medio eternamente insanguinato, ma che ha visto nella storia il fiorire delle più grandi civiltà dell’uomo, una affianco all’altra. E non separate, in “tregua armata”, per così dire: ma l’una dentro le altre, con le più grandi menti della cristianità chiamate dal califfo di Baghdad ad offrire il proprio contributo all’islam, in uno scambio reciproco e fecondo, dimodoché oggi l’occidente della scienza positiva possa andare sulla Luna facendo i suoi calcoli con… i numeri arabi. È solo un esempio di convivenza tra religioni diverse, in particolare tra cristiani e musulmani, che non è stata sempre violenta; né il loro incontro si è sempre rivolto in scontro. I facinorosi ci sono sempre stati, invece, da entrambe le parti; e i popoli hanno conosciuto fin troppe crociate e jihad di cui avrebbero fatto volentieri a meno. Perché i cristiani oggi dimenticano la loro storia? Perché ricordano solo le esperienze negative (innegabili) e non anche quelle positive, tuttora in corso? Di cosa hanno paura i cristiani d’occidente, ansiosi di affidarsi al primo agitatore di folle? Come sta cambiando il cristianesimo?
Philip Jenkins, pluripremiato docente americano di storia e di scienze religiose in Texas e Pennsylvania, i cui lavori sono tradotti in sedici lingue, scrive un’opera da par suo, con un apparato critico imponente e una solida bibliografia. L’esito tuttavia non si distingue per il grado di scientificità, che si dà per scontato; ma per lo sforzo con il quale cerca di portare il risultato dei suoi studi al pubblico amplissimo dei non specialisti. E ci riesce ottimamente, offrendo un volume di grande chiarezza che, partendo dall’esame del contesto geopolitico e della sua evoluzione nella storia, sa calarsi nell’attualità e nei problemi immediati della convivenza tra le fedi, del loro scontro (sempre all’orizzonte; ma sempre evitabile), delle aperture, delle persecuzioni. Mostrando come, in definitiva, i problemi che ci sembrano spuntare oggi in maniera anche sconvolgente (come quello del terrorismo) non siano affatto qualcosa di inevitabile, causato da una fondamentale incompatibilità teorica fra teologie; bensì una deliberata deviazione, funzionale a rivendicazioni estemporanee di supremazia politica. Le religioni possono nascere e morire, come tutto ciò che accade sotto il sole; ma nessuna di esse porta in sé il germe della distruzione delle altre. Un libro che è una boccata d’aria fresca e salutare, all’interno di un dibattito dominato dall’asfissia e dal pregiudizio.
P. Jenkins, La storia perduta del cristianesimo, ed. EMI, 2016.
(«Mangialibri», 16 giugno 2016)
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