Cristoforo di Messisbugo, Giovan Battista Rossetti, Bartolomeo Scappi, Vincenzo Cervio, Sante Lancerio: nomi che ai più non dicono nulla, ma che andrebbero accostati - non si tema di esagerare - niente di meno che a quelli di Leonardo, Michelangelo e Raffaello: se questi ultimi, infatti, hanno offerto all’umanità nuovi modi di concepire la pittura e l’esperienza estetica in generale, quelli, a loro volta… hanno inventato nuovi, sapienti, intriganti modi di stare a tavola e di gustarne il piacere. Prima del loro arrivo, era dal crollo dell’impero romano (e dal tramonto di nomi come Lucullo e Trimalcione) che la cucina non veniva più considerata materia di cura e di ricerca; poi, nel Cinquecento (più precisamente tra la fine del Quattrocento e l’inizio del Seicento), il Rinascimento artistico investe anche la gastronomia. O meglio, quella che diventerà la gastronomia, grazie al genio degli “chef” citati, nel suo senso più ampio: dallo stare a tavola all’organizzazione di feste e banchetti sui generis, dalla creazione di ricette inedite e impensabili all’abbinamento del vino, dall’insieme delle regole da mettere in pratica per ricevere un papa, a tutto ciò che occorre per organizzare un banchetto all’altezza dell’imperatore...
Stupire: ecco la parola d’ordine di un secolo che - a ridosso di un millennio dove l’innovazione non solo latita, ma è essa stessa inconcepibile, almeno in certi àmbiti - è consapevole delle proprie potenzialità e ama diventarlo sempre di più. Anche nell’esperienza della tavola, che alle corti più raffinate (tra le quali spiccano quelle dei Gonzaga e degli Estensi) ha occasione di esprimersi nella sua forma migliore (prima che - insieme al vento della politica - tutta questa “scienza” emigri in Francia, per diventare haute cuisine). Pierluigi Ridolfi - Presidente dell’Associazione Amici dell’Accademia dei Lincei e appassionato di storia della gastronomia, che ama cucinare per i suoi ospiti, stupendoli a sua volta con manicaretti dal sapore d’altri tempi - offre qui un pregevole lavoro di raccolta e di ricostruzione dei materiali dell’epoca, dalle cronache di eventi, alla raccolta di regole e ricette. Dove il cibo non esaurisce il proprio ruolo nel saziare la fame, né nel vellicare il palato più raffinato, ma si spinge fino a nutrire l’anima (ciò su cui perfino Tommaso d’Aquino e Lutero si trovavano, in certo modo, d’accordo) e ad alimentare un senso di convivialità e di amicizia che oggi andrebbe riscoperto ed esaltato (al di là delle deprecabili mode televisive). Con diversi inserti patinati a colori fuori testo, e numerose illustrazioni.
P. Ridolfi, Rinascimento a tavola, ed. Donzelli, 2015.
(«Mangialibri», 3 marzo 2016)
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