È davvero possibile pensare che militari nazisti, colpevoli di crimini contro l’umanità, trovassero accoglienza in quella confederazione di Stati che si proponeva al mondo come garante della libertà? La cosa sembra da subito paradossale, eppure la storia è andata proprio così. Alla fine della seconda guerra mondiale, i servizi segreti statunitensi e l’FBI, organizzarono, all’indomani della sconfitta nazista, la fuga e la risistemazione di un gran numero di rappresentanti del Terzo Reich. Nello stesso momento in cui molti permessi richiesti da profughi, vittime della persecuzione, venivano rifiutati, gli Stati Uniti d’America aprivano, in segreto, le porte a un ingente numero di seguaci di Hitler, tra cui spicca la figura del “Macellaio dei Balcani”, nazista croato responsabile della morte di seicentomila uomini. Nonostante le pubbliche condanne dirette dal governo statunitense a quelle istituzioni che permettevano la fuga degli ex gerarchi nazisti, ora è possibile vedere come anche quello stesso governo si macchiasse dello stesso reato. Qualcosa che, ancora inedito, viene finalmente alla luce e che riguarda la vita di quei fuggiaschi che Robert Jackson, procuratore capo della Corte di Norimberga, definì “mille piccoli Führer”...
«I crimini che cerchiamo di far condannare e punire sono stati così premeditati, così malvagi, così devastanti che la civiltà non può permettersi di ignorarli, perché non sopravviverebbe se dovessero ripetersi»; così ancora Jackson si esprimeva a proposito della politica nazista, mettendo involontariamente a nudo una terribile verità: gli Stati Uniti d’America hanno sempre avuto un atteggiamento scandalosamente bifronte verso il nazismo, condannato senza meno da un lato, tollerato e anzi “perdonato”, per non dire finanche “incentivato” (mettendo in fuga, clandestinamente, tanti gerarchi che altrimenti non ne avrebbero avuto nessuna possibilità; e permettendo che continuassero segretamente la loro attività di propaganda e di riorganizzazione, “alla porta accanto” di tanti cittadini americani inconsapevoli) dall’altro. Ipocrisia che Lichtblau prova a mostrare, facendo emergere un’opera dei servizi segreti deliberata e a tutto campo. Insomma: né un caso, né un’eccezione: il governo statunitense li voleva. Quali fossero i termini dello scambio - ché in circostanze come quelle del dopoguerra, nessuno regala nulla - può solo essere immaginato. Si è sempre data ai Paesi sudamericani la colpa di un asilo politico troppo facilone: ora sappiamo che qualcuno ha fatto anche di peggio, per giunta di nascosto. Una lettura che sarebbe interessante, non fosse per la mole del volume e dell’apparato critico, e per il linguaggio non sempre scorrevole e invitante come si auspicherebbe. Contiene la mappa delle località in cui abitavano i nazisti ufficialmente perseguitati dagli USA.
Eric Lichtblau, I nazisti della porta accanto, ed. Bollati Boringhieri, 2015.
(«Mangialibri», 22 marzo 2016)
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