venerdì 25 dicembre 2015
Caro Babbo Natale
Caro Babbo Natale,
quest’anno ti chiedo un regalo: fammi essere casertano. Lo so, magari ti sembrerà una richiesta strana, ma è quello che desidero con tutto il cuore.
Ti spiego. In città sono appena spuntati dei nuovi manifesti, che recitano: “Caserta ai casertani”. Non c’è un nome, solo un volto è sbiadito, con una firma illeggibile: insomma, quello che conta è il messaggio, no? Leggo meglio, per sincerarmi: no, è scritto “casertani”, non “casertariani”. Molto meglio. E allora, ecco, come dire: io nella vita non ho mai avuto niente; se fossi casertano, questi mi darebbero la città. Che dici, si può fare?
Ti prego, fammi essere casertano. Dici che posso riuscirci? Io sono nato a Napoli, ma vivo in Terra di lavoro (qualunque cosa possa significare ai giorni nostri) ormai da tredici anni: ci rientro comunque? Magari in una “fascia B”? Magari, se mi mettessi a gridare “Forza rossoblu”... aiuterebbe?
Ti scrivo questa lettera in una lingua essenzialmente grecolatina che si chiama italiano, la data qui sotto è in numeri arabi, la mia penna è 100% cinese e la carta è di Amalfi. Vado avanti? O finirò in “fascia C”?
Lo so, Caserta non è solo il dialetto - che per inciso è il napoletano - la mozzarella buona, l’eroismo di chi si sforza di fare cultura in un deserto istituzionale devastante. Caserta è anche le sue contraddizioni: ad esempio, su viale Carlo III, due fast-food, di due catene diverse. In uno c’è il parcheggiatore abusivo, da sempre; nell’altro no. Allora, mi domando: si può fare?
Caserta è anche il tipo che approfitta dei social per dire la sua e, immancabilmente, fa una gaffe di proporzioni bestiali, della serie: armammoce e gghiate.
Caro Babbo Natale, ho amato questa città fin dal primo giorno che mi ha accolto. Adoro viverci e non tornerei mai indietro. Per questo Natale, quindi, fa’ che io possa essere casertano. Senza dovermene vergognare.
(«Il Caffè», 18 dicembre 2015)
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