Gregorio Esposito si fa chiamare Gerri. È un ispettore che viene da Napoli e che, dopo essere stato un po’ qui, un po’ lì, non ha ancora trovato una sua sistemazione stabile. Neanche in amore: non fa altro che saltare da una relazione all’altra, pronto a scappare appena sente la zaffata della diabolica triade “Andiamo a vivere insieme-Ti presento ai miei-Sposiamoci”. Come se non bastasse è innamorato della moglie del capo. E ha una singolare storia d’infanzia alle spalle - è cresciuto in orfanotrofio - che lo induce a solidarizzare con i reietti (non di rado, ahimè, colpevoli di reati d’ogni genere), che si trova costretto ad arrestare, più che con i colleghi. Un personaggio caratterialmente ricco e problematico, che l’autrice - nonostante la scrittura pulita - ama al punto da lasciare che la sua presenza attenui il respiro della narrazione e ne smorzi il ritmo. Maurizio de Giovanni si domanda in quarta di copertina se Lepore possa essere “la vera, grande voce nuova del romanzo nero italiano”. Le carte ormai sono date. Per vedere se siano anche buone, aspettiamo il prossimo giro.
G. Lepore, I figli sono pezzi di cuore, ed. e/o, 2015.
(«Mangialibri», 26 settembre 2015)
