«“Cosa c'è lì dentro?” “Lo vedrà.” “I demoni cercavano di sintetizzare la proteina che rende gli yubu immuni all'X9?” rilanciò Millirebion. “Non saprei se si tratti di una proteina. Comunque sì. Da allora gli yubu considerano questo luogo infestato. È l'antro dei mostri, una zona di quarantena, non troppo dissimile dai lazzaretti che sono sorti alle periferie delle nostre città durante il primo periodo della Psicoinvasione, rammenta?” Proseguirono nel ventre della terra sino a quando il chiarore proveniente dall'esterno si spense del tutto. Tese l'orecchio. Dal profondo si udivano rumori metallici, ticchettii, come il meccanismo di un orologio che si inceppi a ogni scatto. Elena parlo: “Non abbia paura. È strano, ma scendendo tornerà la luce.”»
Bello. Senza mezzi termini. Dall'horror metropolitano alla fantascienza distopica, il romano Daniele Titta compila una raccolta di racconti varia ma non eterogenea, che richiama certamente Lovecraft - come è stato giustamente scritto - ma che non di meno fa pensare a certi brevi di Bruce Sterling. L'orrore più orrido è dietro l'angolo e puoi cascarci dentro da un momento all'altro, sembra voler ricordare, ritmicamente, l'autore - nel mezzo di visioni che catturano per la vividità e l'armonia (ma si può usare questa parola per qualcosa di tremendo?) delle descrizioni - non importa quanto tu creda di essere al di sopra di certe cose, o perfino "normale". Scanzonato e penetrante, Titta non indulge né all'austerità delle atmosfere classiche (e datate) né al prendersi troppo sul serio: i suoi racconti hanno quella giusta leggerezza che sola permette di gustarne l'impatto. Bravo.
D. Titta, Sempre meglio della realtà, ed. Casasirio, 2015.
(«Pagina3», 6 giugno 2015)