Fare i conti col proprio passato. Espressione abusata, particolarmente nel noir: come se ogni storia, azione, intrigo, dovesse per forza condurre a rivedere il proprio passato, per poi pentirsene in qualche misura. Il sottinteso (talora esplicito) è che il passato non voglia abbandonare i personaggi. O che essi abbiano un’eterna nostalgia dei propri vent’anni (in maniera diversa da come ce l’abbiamo tutti). In questo romanzo invece le cose sono diverse, e più dure e reali: niente rimorsi né rimpianti, il passato non è un punto cui si vorrebbe tornare, per poi prendere un’altra strada, né qualcosa di cui non si riesce a liberarsi; è invece qualcosa che si desidera, ardentemente, però in aggiunta al presente e non in sostituzione. Come dire: non è il peso del passato che devo accettare, ma quello del presente che non è abbastanza ampio da permettere a tutte le belle cose della vita di coesistere ed essere qui ora. Come Rachele. Non importa quale grado di rischio vada affrontato per questo. Un noir di notevole intensità - appena un po’ sovraccarico in certi passaggi - reso ancor più bello dall’ambientazione claustrofobica a base di neve, spazi ridotti e una esasperante corsa contro il tempo.
A. Cola, La notte apparente, ed. Curcio, 2015.
(«Mangialibri», 3 giugno 2015)
